giovedì 7 novembre 2013

SOLE A CATINELLE

Checco Zalone e Piero Valsecchi si candidano a diventare i nuovi De Laurentis e Christian De Sica del cinema comico italiano, avviandosi a macinare un nuovo record al botteghino nostrano. Onore a chi dopo aver creato una maschera commediante riesce ad incanalare la voglia di ridere di milioni di persone che vogliono rifugiarsi nel leggero per non vivere il presente di crisi di ogni tipo. Un duopolio che funziona, che ha affinato le armi dal felice esordio di "Cado dalle nubi" e dal seguente "Che bella giornata". La nuova fatica del mattatore di Zelig delle scorse stagioni non delude il suo popolo, avendo il buongusto di presentare una storiella diversa dalle precedenti, condita dall'ironia solita del cabarettista pugliese. Cinema d'intrattenimento che si colloca ben al di sopra dei vari cinepanettoni natalizi, peraltro in imbarazzante involuzione con la manfrina stile fiction primaserata del politically correct. Certo è che imbarazza vedere polverizzare ogni record possibile di incasso da pellicole così tanto leggere, mentre il Cinema attuale fatica a rimanere a galla tra crisi di settore, di idee, di rinnovamento. Si vive questo paradosso dove Zalone salva la nostra cinematografia sfittica, diventando paladino soprattutto degli esercenti, mentre il resto delle produzioni nazionali ed internazionali, tolti i colossi d'animazione americana, annaspa in un oceano di indifferenza. Personalmente Zalone non mi smuove, anche se alcune battute, o meglio, sketch sono obiettivamente esilaranti, ma trovo così triste questa transumanza di gente verso il buio della sala per un prodotto così poco cinematografico. In un mercato sano sarebbe bello vedere il trionfo odierno intervallato da buoni incassi di film quale gli ultimi di Virzì o Papaleo, mentre ci toccano i vari Brizzi e Bruno, per non citare Moccia. Che la cultura in Italia sia in declino da decenni ne siamo tutti consapevoli, che la tv e la politica ne siano i primi colpevoli anche, ma pure noi con le nostre scelte possiamo fermare o meno un ecatombe continua. Quindi niente di male a farsi due risate con Checco in sala con amici o familiari, ma ricordiamoci di alimentare le nostre zucche manipolate con stimoli freschi e perchè noi un pò più impegnativi. Concludo pensando che personalmente non andrei mai a vedere un film del genere al cinema...sono una pecora nera? A voi l'ardua sentenza. Guardate tranquillamente Zalone, non vi giudico, ma tornati a casa rispolverate Monicelli o se preferite Risi, tanto per non dimenticarci di quanto eravamo avanti; poi guardate le commedie di oggi e per cortesia riflettete. Sti cazzi!!

giovedì 3 ottobre 2013

GRAVITY 3D

 


"Non è nello spazio che devo cercare la mia dignità, ma nell'ordine dei miei pensieri. Non avrei alcuna superiorità possedendo terre. Nello spazio, l'universo mi comprende e m'inghiotte come un punto; nel pensiero, io lo comprendo."
Blaise Pascal, Pensieri, 1670 (postumo)


Sia lode ad Alfonso Cuaròn, autore messicano capace di regalare l'unico capitolo interessante della saga del maghetto noiosetto ( " Harry Potter e il prigioniero di Azkaban" ) ed un gioiellino come " I figli degli uomini", fantascienza socialpolitica con vena poetica. Ed ora firma il suo capolavoro, non a caso a sette anni di distanza dalla precedente opera; il tempo giusto per elaborare una sceneggiatura del figlio, asciugarla, equilibrarla fino a farla immagine viva in uno schermo raramente così immenso. Un lavoro certosino che premia lo spettatore con dettagli stupefacenti, ancor più sorprendente attraverso la tecnologia 3D utilizzata ultimamente quasi esclusivamente a fini prettamente commerciali. Qui è parte integrante della narrazione, diventando veicolo emotivo non indifferente, nella filosofia pionieristica intrapresa dalla solitaria genialità di Cameron e Jackson. Un' opera ambiziosa che immerge lo spettatore in un caleindoscopio di immagini travolgenti, curate ed innovative tanto da poter funzionare come cinema delle origini, senza parole, muto o fantasiosamente con un accompagnamento musicale dal vivo in sala. Ma il regista, sottolineo Autore e non semplice mestierante, fa del suono e della sua assenza complici leali per una decisa immersione dei sensi tutti in un'atmosfera così vicina e nello stesso tempo atavica. Un tripudio emotivo calcolato da un fine stratega che colpisce per forza visionaria ed impatto coinvolgente. Un'opera destinata a segnare questi anni bui, orfani di blockbuster degni di uscire da un polveroso anonimato; una pellicola costata "solo" 80 milioni di dollari che mantiene le promesse, superandole eccellentemente grazie ad un equilibrio formale miracoloso che include passione per la narrazione, amore per l'immaginario sconfinato ed esaltazione di un'umanità che trova sempre la forza di sopravvivere. L'androgina protagonista ricorda in parte la Ripley di "Alien", trovando nella disgrazia la lotta per rinascere sulle sue ceneri; una fenice che sola nel cosmo ritrova sè stessa. Nella sua lacrima che ci viene incontro colpendo lo schermo, c'è tutta la poetica di questo immenso regista che nascosto dallo star system tradizionale traccia una parabola cinematografica sempre più matura ed interessante. Nel ranocchio che nuota verso la superficie tutta l'energia di una vita che risorge, salvando un'idea di cinema che ancora acquista senso in piccoli, grandi miracoli come questo. Quando un genere diventa arte. Quando l'arte colpisce gli occhi e il cuore. Quando si pensa di avere visto già tutto. Bentornato Alfonso. Grazie per avermi dato la possibilità di perdermi nel vasto spazio insieme alla tua eroina; a volte vorrei spegnere anche io gli ausiliari per abbandonarmi al pieno silenzio. Ma il vuoto assordante non vale un solo istante della piena vita di un uomo insignificante come me. E la lotta continua per vedere una nuova alba da spettatore privilegiato.





giovedì 19 settembre 2013

RUSH

Chi non si ricorda di Richie Cunningham? Veri happy days... Il nostro poi diventa regista, parte in sordina ma acquista pregio e mezzi non partorendo una maestria originale ma difendendosi dietro ad un classicismo senza particolari fronzoli. Il meglio arriva dalle storie vere, già di per sè veicoli di forti emozioni; ecco quindi "A beautiful mind", "Cinderella man" e "Apollo 13" non in ordine prettamente cronologico. Il nostro amico lentigginoso porta a casa il risultato con regie solide, senza sbavature ma anche senza particolari graffi o sorprese. Poi il disastro Dan Brown con un dittico indecente che aizza gli ignoranti cinefili di tutto il mondo dietro ad un thriller soprannaturale risibile e ad una pellicola a giro di ruota. Ed eccoci a commentare il decadere di un simpatico giovanotto ormai stempiato che cerca passione e gloria in una storia sportiva straordinaria, trovando polvere e macchie d'olio sul difficile tragitto. Altro che piste battute da pioggia sferzante o roboanti incidenti che gelano il sangue agli spettatori. Qui si assiste impotenti a scene con un dinamismo sì veloce ma inutile, fino a scivolare in caratterizzazioni splendidamente banali, in primis quella italiana con tanto di Favino doppiato fuori sincro e tifosi della Ferrari provinciali in stato di demenza avanzata. Credo fermamente che questo cinema americano sia il peggio oggi sulla piazza, perchè appiattisce creando macchiette caricaturali di grandi personaggi carismatici con un uso sistematico di montaggi alternati sostanzialmente idioti, livellando in basso l'aspettativa del pubblico medio. Da manuale la scena in cui Lauda subisce i vari interventi mentre incredibilmente ad ognuno di esso corrisponde la messa in onda di un gran premio in cui l'avversario vince recuperando terreno... Materia per una bella fiction targata mediaset o rai. Favino c'è già, per cui si può già risparmiare in casa. O la scena patetica già citata del Lauda in giro per le campagne italiane; robe che girate da noiartri registi italiani sarebbero tacciate di bassa manovalanza da serie Z.



Ma Richie rimane il nostro amico dei bei tempi e per questo gli si può perdonare tutto; con una faccia così d'altronde solo un sorriso ti può strappare.

La pellicola sportiva è di per sè ardua dato che rispecchia in partenza un'emozione già viva alla fonte; replicarla è impossibile, renderla materia inerte è un dono che Howord accarezza e doma. Una materia incandescente trattata con l'estintore ben aperto che tramuta le ferite sul volto, ma soprattutto nello spirito, dell'austriaco in un insolazione di tarda estate. Ridateci "Driven" con il ghigno deformato di Stallone che in un sol boccone mangia la carota del coniglietto Lauda. E ricordiamoci Ron insieme a Fonzie e alla sua splendida famiglia sognante; altri tempi ormai lontani che meglio lasciare ai ricordi.

venerdì 23 agosto 2013

THE CONJURING - L'EVOCAZIONE

L' horror è un genere a sè e a non tutti garba. Personalmente nutro un rapporto ambivalente di fronte a pellicole che a volte mi annoiano profondamente ed altre, rare a dire il vero, mi fanno drizzare i peli dalla paura. Come è giusto negli ultimi anni ci sono stati sia ritorni alle origini sia sperimentalismi arditi ma qui non approfondisco il tema sia per mancanza di preparazione a riguardo sia per evitare l'effetto polpettone. Affrontando di petto il tema delle "presenze" demoniache nella storia del cinema non posso fare altro che adorare ancora a trent'anni di distanza quel capolavoro di tensione ed ansia che Friedkin riuscì a regalare con "L'esorcista"; ad ogni nuova visione mi stupisco, con l'atmosfera adatta, di quanto rimango impaurito nonostante sappia già cosa accada nella scena seguente. Mi chiedo il perchè ed arrivo sempre alla stessa conclusione che esulando dal genere è il cuore stesso della settima arte, dove l'horror forse ne è l'espressione più genuina; la storia sì è importante ma il cinema vive di immagini e queste prolificano e si sedimentano nella nostra mente attraverso un lavoro di attesa, montaggio e tempismo. L'arte del regista cambia inesorabilmente una storia esaltandola o sminuendola a seconda di innumerevoli fattori. Rimane il fatto che quando storia e sguardo coincidono si creano le condizioni adatte a prodotti di valore. Altro sublime esempio è "Shining" di Kubrick, ma sappiamo tutti che con il Maestro dei maestri il mattino aveva l'oro in bocca.
Tra prodotti derivativi e tradizionali, tra gore splatter dimenticabili e torture porn opinabili ecco che arriva Wan. Firma in avvio di carriera quella che diventerà una saga infinita e fastidiosa come "Saw", ma che nel capostipite trova una forza visiva e un meccanismo violento ed ossessivo che ipnotizza e sconvolge. Vira poi al cinema d'orrore più tradizionale ovvero quello delle presenze piuttosto che quello carnale con un'opera interessante e stimolante come "Insidious", dove non ci sono grandi novità sul piano narrativo ma efficace e personale è l'uso del mezzo e il meccanismo emozionale è ben oliato. Fino ad arrivare a "The Conjuring", caso al botteghino in madrepatria e conferma del talento dell'abile regista nel creare suspence attraverso canovacci non originali ma mai banali. Difficile rimanere inerti di fronte a situazioni di possessione sataniche che sfruttano al meglio la paura atavica dell'essere umano per un aldilà infestato da presenze ed energie negative, contrarie. Una pellicola da godere in sala ma forse ancor più da affrontare in una fredda notte d'inverno in solitaria, ricordandosi di essere consapevoli di ogni minimo dettaglio nell'ombra degli specchi piuttosto che nel sibilo dell'aria nelle porte socchiuse. Di fronte a blockbuster sempre più fracassoni e ad horror sempre più sanguinolenti, Wan risponde con la paura più classica ed abusata, ma con risultati non di poco conto. Ho avuto paura e non me ne vergogno e stanotte ho avuto gli incubi. Raggiunto l'obbiettivo? Direi di sì,al di là di un' estetica ben precisa e di una storia coinvolgente. Il ragazzo ha stoffa e si spera non si perda come i suoi protagonisti di fronte all'orrore che gli attanaglia; una speranza, un filo sottile per ritornare alla vita esiste sempre. Contro ogni male, contro ogni possessione. "L'esorcista" continua a vivere in mezzo a noi...



giovedì 11 luglio 2013

PACIFIC RIM


Pim! Pum! Pam!

Perchè Del Toro è uno di noi? Perchè fa film che vorrebbe vedere con l'entusiasmo e la passione del nerd medio ma con maestria e tecnica ineceppibile. Qui prende l'amore per gli anime giapponesi e le citazioni sfrenate ai robot stile Goldrake piuttosto che il cult Evangelion facendone un frullato godibile e frizzante. Puro cinema di serie B realizzato con mezzi da serie A. Un'impresa folle che corre sul filo di lana per riuscire miracolosamente a trovare un equilibrio in una sceneggiatura generosa ma nello stesso tempo attenta a non sbrodolare; citazionistica nei vuoti raccordi di storie già viste ma originale nel taglio visivo e nel tocco personale del regista. Un giocattolo straordinario che in un colpo solo cancella i vari Transformers riducendoli a noiosi ed obsoleti macchinari da antiquariato virtuale; perchè Del Toro ci ricorda sempre che l'umanità è sovrana del proprio destino. Cinema di occhi infantili e di pancia che sa meravigliare e convincere, smarcandosi ancora una volta dalla piatta egemonia fantastica della Hollywood più becera, quindi noiosa. L'effetto speciale nella poetica del visionario messicano è sempre funzionale alla storia, indi per cui valore aggiunto. Similare al neozelandese Jackson per motivazioni, stimoli e fortuna critica si smarca in questa fase della carriera per aver rinunciato al "Lo hobbit" per intraprendere la realizzazione di questo piccolo gioiello d'intrattenimento. Siamo dalle parti del suo splendido "The golden army" per chi ha orecchie per intendere. E per il sottoscritto nel frullato sopracitato vi è un pizzico inatteso del migliore Jeaunet, una manciata di Cronenberg e un pugnetto pieno del maestro Honda. Uno dei migliori omaggi al cinema fantastico
giapponese e alle sue creature bizzare arriva da un messicano che si candida a rimanere uno dei pochi registi borderline in circolazione. Motivo in più per rimpiangere la sua visione delle avventure di Bilbo che mai vedremo. Guillermo rules! E lo fa senza venire a compromessi con lo star system. Chapeu! La fantasia al potere.

giovedì 20 giugno 2013

MAN OF STEEL

Ovvero Il grande Boh.



Non mi addentrerò nei meandri della fedeltà o meno con il fumetto originario piuttosto che con le saghe ultime, perchè non in grado di giudicare causa ignoranza di fondo. Ma con l'ennesimo reboot di un supereroe che aveva toppato nella versione di Synger qualche aspettativa c'era...soprattutto per tre motivi: Nolan alla produzione, Goyer alla sceneggiatura e dei trailer che facevano ben sperare. Certo c'era il problema alla regia di Snyder, videoclipparo benedetto da "300" ma anche autore di uno dei film più insulsi della storia del cinema come "Sucker Punch", un delirio porno-pop. Risultato? Un'ibrido a tratti interessanti, a tratti fortemente noioso e dal finale decisamente frastornante. Un equilibrio difficile che rende l'operazione sulla carta appettitosa nella speranza di portare L'uomo d'acciaio nelle zone grigie del miglior Uomo Pipistrello. Ma la macchina programmata s'inceppa più volte e la mano del regista scalpita per arrivare agli agognati kapow! e boom! Con ciò non mi è dispiaciuto anche se buona parte del cast, tutto?, è praticamente sprecato e Cavill è un monolite fantasma che percorre tutto il film con una smorfia spaesata; certo il fisico è da toro da monta, tanto che sarebbe bello vederlo in sfida a botte vere contro il miglior Jackman pompato di Wolverine. Concludendo si può vedere senza grandi aspettative pensando di lasciare stare per sempre i lavori futuri di Snyder (quelli passati risparmiateveli), di apprezzare la maschera sgangherata del cattivo Shannon in titoli meno noti ma più ficcanti, di seguire la creatura televisiva di Goyer "Da Vinci's Demons", fresca, originale e kitch e di continuare a caldeggiare la carriera registica e visionaria di quel genietto di Nolan. Qui la montagna ha partorito un topolino...non un ratto però, e questa è già una notizia. Povero Superman; che nostalgia che mi viene pensando alla scena dove rinuncia ai poteri per amore di Lane in un bar smarruppato dove viene preso a pugni dal primo camionista di passaggio iniziandosi al dolore e quindi alla sua  umanità. Sembra una banalità ma nella sua ingenuità e balordaggine esibita il povero Christopher Reeve rimane insuperabile. Pace all'anima sua.

martedì 28 maggio 2013

LA GRANDE GATSBY O IL GRANDE BELLEZZA?


L'arte, in certe circostanze, scuote gli animi mediocri, e interi mondi possono essere rivelati loro dai suoi interpreti più grossolani.
Gustave Flaubert

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/arte/frase-98085?f=a:4Due autori a Cannes, due modi di fare cinema così vicini e così lontani nello stesso tempo. Uno straordinario funanbolo della settima arte come Luhrmann, un autore contemporaneo come Sorrentino. Due opere che cercano consensi raccogliendo pareri discordi. Dopo un folgorante "Romeo + Giulietta" ed un capolavoro come "Moulin rouge" per l'australiano il baratro dell'imbarazzante "Australia". Dopo l'esordio folgorante de "L'uomo in più" e la conferma con lo splendido "Le conseguenze dell'amore" la maturità del sottostimato "L'amico di famiglia" e il trionfo de "Il divo". Arriviamo al dimenticabile e noioso "Il grande Gatsby" e, dopo la parentesi americana riuscita solo in parte, al romanzo decadente de "La grande bellezza". Cinema che marca un'impronta ben precisa che per il sottoscritto gira a vuoto per la creatura di Fitzgerald, mentre sancisce la gloria di un cineasta colto e abile come il nostro italiota. Una lotta forse impari alla fonte ma significativa nel risultato. La grande fuffa che il mondo di oggi partorisce quotidianamente e che nutre ogni slancio e movimento culturale viene rispecchiata negli anni della dolce vita del Sogno americano piuttosto che nei salotti buoni della contemporaneità capitolina. Un Sogno che nel primo caso s'infrange nell'impossibilità di un amore sfuggente, mentre nel secondo sfiorisce in un'amore ormai lontano, perso, mai consumato con maturità. Una passione che svilisce in piatto sentimentalismo senza sussulti in un continuo fuoco d'artificio iperbolico, dove nemmeno il giochino degli accostamenti musicali moderni può salvare la sbilenca baracca nel quale naufragano senza pietà i sempre bravi Di Caprio e Carey Mulligan; facce da divi prestate ad un insipido gioco roboante senz'anima. Un kitch imperante che fa di un atto di volontà uno sbadiglio infinito. Nel grande vuoto della capitale italiana l'assenza d'intenti regna sovrana, trovando nei personaggi bizzari e caricaturali delle feste fatiscenti delle terrazze più in voga la continua ragion d'essere di un effimero nirvana di apparizioni mutanti. Sorrentino ha il coraggio di girare un'opera pretestuosa, pretenziosa e vuota come la realtà che chirurgicamente vuole rappresentare. E lo fa con la tecnica ridondante, superba e barocca della quale ci ha abituato strada facendo. Non ci risparmia nè noia, nè inquadrature senza motivo apparente, nè giochini artistici di bassa calatura in mezzo a prodotti di sublime Bellezza, per rimembrarci di come non sia possibile un equilibrio di sorta in questo mondo, neppure in un ideale esercizio di filosofia spicciola. Servillo giganteggia come maschera tragica in un gioco squisitamente teatrale, sovraccarico, inutile, incredibilmente potente. Con il beneplacito del maestro Fellini e dell'indifferenza intellettuale del Moravia. Un'opera ufo nel nostro presente culturale che esplode come grido silenzioso di vacuità indecifrabile. Dove Gatsby/Di Caprio sprofonda, Jep Gambardella/Servillo svetta in una cinica amarezza flaubertiana. Come nel suo primo romanzo Sorrentino cerca un overdose di contenuti centrandone alcuni, rimandandone altri, sfocandone taluni. Una generosità impari che va sostenuta e valorizzata in mercato sempre più livellato. Per Lhurmann una triste discesa negli inferi che fa ricordare con infinita tenerezza la malinconia della Roxanne in versione tango; per il nostro autore di punta una conferma dell'infinito talento che lo ha baciato con uno schiaffo violento al clima cultural nazionale che lo vuole screditare per una necessaria ed orripilante fotografia dei nostri tempi. Siamo destinati a salotti sempre più mondani e sempre meno confortevoli. Prigionieri del Grande Nulla che ci fagocita in un continuo divenire senza opposizione. "Noi facciamo i più bei trenini che si fanno oggi a Roma!" dice Jep...concludendo:"Sai perchè? Perchè non portano da nessuna parte!".



mercoledì 22 maggio 2013

EXIT THROUGHT THE GIFT SHOP




L'altra sera come raramente capita mi sono inbattuto in questo documentario di cui non conoscevo neppure l'esistenza. Ed oggi sono ancora qui che ci penso...Nessuna opinione o critica perchè qualsiasi cosa scrivessi rovinerebbe quello che io ho trovato straordinariamente desolante. Consigliato a tutti per capire in che mondo viviamo. Sono aperti i confronti per chi ne vuole parlare.
L'unica cosa che vi dico è di vederlo fino alla fine anche se magari non vi attira il mondo della street art dove è ambientato; c'è molto di più...Ci siamo noi tutti e quello che questo mondo a volte sceglie di rendere prezioso. A torto o a ragione? Il dibattito s'incendia.




domenica 28 aprile 2013

IRON MAN 3

Ovvero come la serialità soffoca le buone partenze ma nello stesso tempo fa rifiatare il mercato in crisi del prodotto cinematografico.
C'è bisogno in tempi come questi di supereroi ma non sempre la ciambella riesce con il buco... Si parla di Iron Man, personaggio Marvel per alcuni di secondo ordine che grazie alla mimesi perfetta di Robert Downey Jr. ha conquistato il pubblico planetario. Primo capitolo ben calibrato, divertente ed originale seguito da un secondo già con qualche affanno di troppo a parer mio. Un progetto che qui tocca il terzo dopo la punta di diamante degli Avengers senza un accenno ad esaurirsi. I dubbi si fanno strada pensando al cambio di timone alla regia e al 3D di circostanza. Non si può sempre pretendere di avere la fortuna di assistere a trilogie conclusive come Raimi e Nolan ci hanno regalato, ma neppure pasticci rieditati come Hulk insegna. Tony Stark sta forse nel mezzo ma certo non può esimersi dal vivere solo del suo personaggio o meglio del carisma del suo attore feticcio. Difficile però resistere alla macchina produttiva più potente di Hollywood che macina profitti senza sosta in un mondo ormai sempre più in crisi; per cui avanti con il freno tirato a mano sapendo che il pubblico ripagherà due ore e passa con entusiasmo e curiosità. Le premesse ci sono anche contando il nostro eroe in crisi (attacchi di panico ripetuti...) ma qui siamo lontani sideralmente dalle finezze intellettuali di Batman; e l'arma dell'ironia giocata splendidamente nei due capitoli precedenti qui si schianta inesorabilmente a causa di una scrittura superficiale che ha il torto di non rendere credibile per nulla la sofferenza dell'uomo dietro la maschera. Pensate all'uomo-pipistrello con un volto diverso da Bale e bene o male il gioco regge mentre se togliete il buon Robert da Iron man tutto va in vacca; questo vuol dire curare uno script, scrivere dialoghi intelligenti ed infine realizzare il tutto con una regia nel peggiore dei casi invisibile, nel migliori riconoscibile per atmosfera ed efficacia.

Nolan docet... ma se ci pensiamo anche Raimi con il terzo Spider-Man o Jackson con "Lo hobbit" in parte hanno partorito topolini da una possibile montagna. E qui ritorna il ritornello del ritorno economico, quindi della libertà in parte soffocata da produzioni pantagrueliche che non possono permettersi un passo falso; meglio quindi un regista malleabile e magari una storia che guardi ai comics di riferimento senza stravolgere troppo il quadro di fondo. Peccato però che questo film noioso veda la luce dopo quel miracolo firmato da  Joss Whedon con gli Avengers dove l'amore incondizionato per i comics trasudava da ogni inquadratura, dove ogni personaggio diveniva più carismatico grazie ad un fine lavoro di sceneggiatura, dove gli effetti speciali erano al servizio di una storia interessante, dove il 3D per una volta era usato bene. Qui tutto questo manca. Si gioca al minimo partorendo un polpettone di rara inerzia. Peccato... ma si sa gli incassi ridono per cui la saga continuerà... ora la palla passa all'Uomo d'acciao...

mercoledì 10 aprile 2013

JIMMI BOBO - BULLET TO THE HEAD

Chapeau al ritorno di un grande come Walter Hill, sempre capace nei decenni scorsi di regalare film potenti quanto essenziali nel loro genere. Da "I guerrieri della notte" a "Strade di fuoco" un regista che non si è mai risparmiato nella ricerca di un cinema puro e geometrico. Qui dopo 10 anni di assenza torna per fare specularmente quello che fece con Schwarzenegger in "Danko" e con Willis in "Ancora vivo"; prende Stallone e lo plasma in modo da spremerne il meglio per il personaggio che incarna. Uno Sly che mette un altro tassello fondamentale in una carriera invidiabile, anche se i detrattori fermi ai sequel di Rocky/Rambo sono così miopi da non riconoscergli le scelte sagge fatte piuttosto che l'umiltà con cui si è messo dietro la macchina da presa per piccole perle incomprese alla fine delle faticose serialità. Basta da esempio l'ultimo capitolo di entrambi i protagonisti sopracitati per applaudire due diversi approcci all'action contemporaneo con venature malinconiche. Poi l'avventura spassosa e autoironica de "I mercenari" per non parlare dei primi passi con "Taverna paradiso" o il misconosciuto "F.I.S.T.". In mezzo certo delle tamarrate come "Rocky 4" e "Demolition man" ma anche "I falchi della notte" e "Copland"...un corpo oggi più che mai prestato alla recitazione che intenerisce, fa sorridere ma sorprende ancora per carisma se usato e valorizzato nel modo giusto come fa Hill grazie ad uno stile secco e a dialoghi vivaci e asciutti. Un film old fashion che in 90 minuti omaggia la vecchia scuola come un bigiamino nel  girare un film d'azione senza inutili orpelli o con l'uso di effetti ipercinetici stancanti, ripetitivi e fini a sè stessi. Jimmi è un mercenario dal cuore d'oro e Hill è un fottuto vecchio yankee ancora capace di graffiare, ancora vivo.


P.S. Parlando di Sly per chi lo ha perso qui sopra il video della premiazione dei Golden Globe di quest'anno dove con Schwarzy si è distinto nella surreale presentazione del premio ad Haneke per "Amour"...un cult!

domenica 7 aprile 2013

BENVENUTO PRESIDENTE!

É giunta l'ora di venire allo scoperto! La quasi completa commedia italiana delle ultime stagioni, salvo poche eccezioni che confermano la regola, è una cagata pazzesca! Almeno 20 minuti di applausi e registi ed attori di tali oscenità ginuflessi sui ceci a piagnucolare...
Non ne posso più di fiction stile Rai travestite da favolette buoniste spacciate per cinema d'intrattenimento di qualità sbanca botteghini. Di fronte a queste penose operazioni d'impoverimento culturale mi viene da rivalutare sfrontatamente "I soliti idioti" capaci almeno a tratti di strappare una o più risate di pancia sulle macchiette che rappresentano e purtroppo in parte riproducono fedelmente. Solita zuppa condita con i soliti ingredienti: regia piatta e banale stile fiction; attori bravi che si prestano a rincoglionirsi da contratto; politicamente corretto che regna sovrano in modo nauseante. Ci avete rotto i coglioni! Però se rifletto con garbo senza reazioni istintive devo solo fare un plauso a questi produttori capaci con il minimo sindacale di ottenere il massimo ovvero l'incasso di milioni di euro, pagati da migliaia di italiani che fuggono alla crisi alleggerendo le loro ore libere con un prodotto light come il loro cervello. La premessa del film è già penosa di per sè, aggiungono poi un Bisio che continua spiacevolmente a sputtanarsi la carriera dopo il dittico dei Benvenuto, sempre più rappresentante con De Luigi di una commedia che guarda agli abbonati Rai che ogni settimana premiano Don Matteo 25 o Che Dio ci aiuti 2...poi uno deve sorprendersi che siamo in penultima posizione in Europa nell'investimento culturale...c'è da piangere! E soprattutto la cosa sconsolante è che si ride veramente poco o nulla.
Il dramma è che anche i comici oggi nella nostro Belpaese rispecchiano la mediocrità imperante: i nuovi sanno sfornare solo tormentoni stile Zelig; gli anziani disgraziatamente  invecchiano senza stile. Nel mezzo ci sta Grillo che soppianta il Cavaliere nel circo mediatico politico. Una nazione piccola e sempre più povera dominata da comici sempre meno buffi, ma sempre più ridicoli senza essere in grado di far ridere il proprio pubblico di riferimento. Io sono stanco...e difatti quando voglio ridere seriamente guardo al web con fenomeni come il sempre più noto Maccio Capatonda o in America dove su tutti basterebbe citare il longevo Dave Letterman. Qui la primavera tarda ad arrivare...metaforicamente l'inverno non è mai stato così freddo.



giovedì 4 aprile 2013

SINISTER

Per la seconda volta e spero non per l'ultima accolgo con doverosa riconoscenza l'opinione di un caro amico a sua volta amante del cinema di genere ed egli stesso promotore di un interessante blog personale a cui vi rimando per approfondimenti su ristorazione, viaggi e fotografia. Grazie Riccardo! Un abbraccio!
Vedrò presto io stesso di recuperare la visione di questo interessante horror per replicare o sposare la tua recensione...;-)


http://riccardocampaci.blogspot.it/2013/04/sinister-il-fenomeno-horror-del-2012.html

lunedì 1 aprile 2013

THE AMAZING SPIDER-MAN

Ciao a tutti. Mio zio ieri sera mi ha portato a vedere L'uomo ragno.
Mentre mangiavo il gelato in pace con gli occhialetti che scivolavano continuamente dal mio nasino, mio zio bestemmiava al trailer di resident evil e schiamazzava a quello di batman... mio zio mangia fiorentine e fumetti...
prima del film continuava a ripetermi, mentre sorseggiava la sua sprite ghiacciata, che un rebut non aveva senso, che la trilogia di raimi era gioia per gli occhi e per il cuore... io guardavo lo schermo gigante e pensavo a quanto era buona la crosta di cioccolato fondente che si scioglieva in bocca. Durante il primo tempo dei bimbi più grandi facevano gli stupidi e mio zio con piccoli e grandi rutti li riprendeva continuamente urlandogli shhhhhhhhhhhhhhhhhhhhhh.
Io per non capire nulla ho visto un tipo sfigato che veniva morso da un ragno e divantava fico. Poi un cattivo che si trasformava in un lucertolone cattivo anche se aveva la faccia buffa e una manona tipo di plastica. Poi c'era una bella bimba bionda anche se quando c'era lei il film era due balle. Hanno acceso le luci in sala e la gente andava a fare la pipì o a prendere le bibite... mio zio ha tolto gli occhiali e ha detto bho. Mi ha detto che il terzo del primo uomo ragno era un casotto ma che gli altri due erano bellissimi, un pò come quando in mezzo a tante figurine doppie trovi quella che ti manca per finire l'album. Io ho pensato che questo uomo ragno era un pò tanto sfigato. Saltava sì sui tetti ma non aveva i genitori e pure lo zio fa una brutta fine. Mio zio invece diceva che la tipa bionda era molto,molto,molto brava... non ho capito perchè ma gli è piaciuta molto. Quando si sono rispente le luci un pò pensavo a tornare a casa perchè ero un pò annoiato... poi invece con le botte finali il tempo è passato via liscio.
Alla fine io ero contento per il gelato e per le botte e lo zio anche per la bionda e per le botte...credo. Però quando siamo andati via ha continuato a ripetermi che raimi era un'altra cosa...io sto raimi non lo conosco ma penso sia un grande amico dello zio e gli vuole bene. Adesso aspetto di andare a vedere Batman sempre con lo zio ma mi ha detto che devo fare meno domande e devo leggere più fumetti...io allo zio ci voglio bene però delle volte esagera
Vabbè...il gelato era buono!

giovedì 28 marzo 2013

ROOM 237 : KUBRICK SULLA LUNA??

Straordinaria visione ancora più sorprendente perchè incontrata per puro caso.
Un documentario sbalorditivo che attraverso una narrazione intensa e suadente pone continue domande sul significato nascosto di "Shining" da parte del genio Kubrick. Un'opera singolare, bizzarra e goliardica allo stesso tempo che sarebbe a mio avviso piaciuta al grande maestro inglese. Domande che pongono dubbi e osservazioni che stimolano la ricerca; cosa vi è di meglio che un documentario capace di instillare prepotentemente la voglia e curiosità di rivisionare con occhio attento l'intero percorso del più grande regista mai vissuto finora? Da vedere ancor meglio dopo "Shining" stesso per screditare o caldeggiare le tesi contenute. Reperibile per ora solo in lingua originale con sottotitoli in italiano.
Apollo 11 sulla luna passando dalla stanza 237? Affascinante ipotesi...

lunedì 25 marzo 2013

GLI AMANTI PASSEGGERI

A me Almodovar non piace. Lo dico subito per fugare dubbi. Ci sono artisti che al di là della sensibilità aliena alla mia non riescono minimamente a interessarmi; non riescono a darmi in mano le chiavi della loro poetica. Con ciò riconosco l'importanza di questo autore carismatico nella commedia europea degli ultimi venti anni. Dopo gli esordi carichi di erotismo e passione e le opere mature pluripremiate in tutto il mondo, negli ultimi lavori si è fatta strada una stanchezza ripetitiva che sembra vivere di rendita. Ma anche per il sottoscritto che non lo ama, un film con il tocco Almodovar è sempre in qualche modo intrigante, magari in pochi isolati fulminei passaggi, mai banale; ci sono situazioni che pennellano un mondo enfatizzato, barocco ma molto più reale di quello che pensiamo, una sorta di psicoterapia quasi sempre sessuale o almeno del desiderio. Eccoci al punto: questa ultima opera del maestro spagnolo è completamente senza tocco, senza senso, senza bussola come l'aereo in cui i personaggi loro malgrado sono imprigionati. Pare una fotocopia sbiadita e abbruttita di un esordiente che vuole imitare l'inarrivabile mestierante. Campione d'incassi in patria! Poi penso ai nostri blockbuster caserecci passati o ancora in auge tipo "Benvenuto presidente" e finisco per trattenermi da un' ivettiva più dura, più feroce. Imbarazzanti i primi venti minuti basati su battute inerenti a cicchetti e pompini (nel merito un pompino...) presentati con tempi comici soporiferi; segue altra ora ancora peggio con inserti surreali poco riusciti e balletti buoni per una puntata nostrana di Zelig. Seppur colorata anche la regia pare sciatta e demotivata e di questo me ne dispiace; il pubblico plaude ed è un bene in questo momento di crisi ma l'impoverimento culturale anche o forse soprattutto nel ramo commedia continua inesorabile la sua marcia verso il grado zero. A me Almodovar non piace; mi piace però l'idea che ci sia, che abbia una sua arte riconoscibile, coinvolgente per chi l'apprezza, a patto che faccia quello che sa fare meglio anche se magari appannato negli anni. Non accetto che si metta a fare anche lui una marchetta qualunque come questa senza provare un minimo di vergogna. Mi aspetto da chi può il dovere culturale di provare almeno a mantenere una qualità sconosciuta a chi autore non può essere o diventare in questo mondo cinematografico sempre più televisivo, nell'accezione purtroppo negativa del termine stesso. A me Almodovar non piace...

domenica 17 marzo 2013

RE DELLA TERRA SELVAGGIA

Qui di seguito per la prima volta pubblico una recensione scritta non da me, impossibilitato fisicamente a vedere questo film, ma da un caro amico che oltre ad essere un valido critico conosce minuziosamente l'argomentazione trattata. Lo ringrazio di cuore per aver accettato il mio invito, sperando la sua opiniome sia utile a chi segue il blog o semplicemente vuole essere stimolato ad una particolare visione.

"Re della terra selvaggia è un viaggio. Un allucinante viaggio fra gli ultimi. In un delta fangoso, sporco ed inquinato vive un gruppo di derelitti emarginati in un degrado squallido ed indecoroso. In condizioni igieniche del tutto assenti, in un orizzonte di impoverimento materiale e culturale, in cui un sollievo è portato dal solo abuso d’alcol, l’esistenza del gruppo è garantita dalla sola forza di rimanere attaccati alla nuda vita che la loro presenza al mondo ancora sembra testimoniare. Sono corpi che, come bestie, si nutrono di altri corpi, crostacei, pesci (che sanno pescare direttamente con le mani), polli e porci coi quali condividono il medesimo destino. Vivono dei rifiuti di una città che si intravede all’orizzonte e li ignora sino a quando non li percepisce come un pericolo. Solo allora si muove la macchina civile, sorvolando la zona con elicotteri e procedendo a sgomberi forzati. Ma l’emarginazione di quel gruppo di umani non è il risultato di un’incapacità di conformarsi ad uno stile di vita dominante, ma il prodotto di una vera e propria esclusione sociale, una violenza strutturale incivile. E’ solo quando uno dei protagonisti del film subisce un ricovero forzato in ospedale che prende forma un significato profondo della narrazione. Sedato, intubato e spogliato di ogni diritto se non quello di esistere come puro organismo vivente rifiuta ogni tipo di cura, litiga con il personale sanitario ed organizza una fuga per tornare nell’ambiente malsano della palude con i suoi simili. Un’immagine più nitida dell’ospedale come dispositivo di disciplinamento corporeo foucaultiano non poteva essere resa. In quell’ospedale si bada alla sola cura organica senza prendere nella minima considerazione il mondo della vita del paziente e i significati della sua esistenza. Ecco perché diviene preferibile fuggire dalla civiltà e rifugiarsi nella più estrema e miserabile condizione che diviene addirittura preferibile giacché è ancora in grado, nonostante tutto, di produrre narrazioni e di garantire senso umano all’esistenza inventando miti (come quello che lega la loro condizione allo scioglimento dei ghiacci da cui prendono forma temibili animali che un giorno se li porteranno via) producendo significati nuovi e momenti di festa surreali. C’è molta più dignità e compassione nel gesto di cura di una bambina che cura suo padre inutilmente che non nella tecnica ospedaliera che offende la sua persona per tentare di rimuovere la causa organica della malattia dimenticandosi che essa ha chiaramente origine nei meccanismi che producono la disuguaglianza sociale. C’è molta più vita umana nel saluto e nella commemorazione compassionevole del defunto su una pira improvvisata che non nel tentativo biomedico di salvare una vita che non è mai stata compresa. Un film da proiettare in ogni scuola, ma soprattutto, prima di ogni lezione alla facoltà di medicina."

FABIO PETTIRINO


giovedì 7 marzo 2013

IL GRANDE E POTENTE OZ 3D

Sarei tentato di esordire con "C'era una volta Sam Raimi..." ma sarei esageratamente crudele. Quindi? Dopo un inizio promettente condito da un 3D finalmente convincente, profondo e ben utilizzato ci si perde nella noia più fitta nella parte centrale per poi sorprendersi e gioire nel finale scoppiettante in tutti i sensi. Pensando al Raimi che amo un'occasione mancata o piuttosto un anomalo risultato; pensando al prodotto medio di questi grami tempi un'onesta riproposizione di un immaginario forse datato ma con grande stile. Una fiaba troppo favola con continui ammiccamenti e citazioni all'originale, altresì un mondo che vale la pena visitare per alleviare l'insopportabile tristezza di quello reale attuale. Un Raimi in stile Burton con al suo fianco un fastidioso a tratti Franco che fa le veci del peggior Depp. Ma nel finale tutti si riscattano. Tranne la deliziosa Williams che fa scaldare i cuoricini di ogni abitante di Oz e non solo.
Scimmia volante senza lodi, bimba di porcellana sublime, tanto bla bla tedioso
accompagnano il mago dal sorriso beffardo e curioso. Siamo buoni come le migliori fiabe insegnano e ne consigliamo la visione ma ricordandovi che il tocco del papà de "La casa" e di "Spider-man" è quasi annullato nel perfido e inutile gioco fine a sè stesso dell'omaggio a un genere, a un film che ha impressionato il fantasy degli albori. Da vedere con gli occhi del nostro fanciullo interiore...dove cazzo è finito il mio???!!! Vabbè...sipario....bonanotte!

giovedì 21 febbraio 2013

GANGSTER SQUAD

Sono in una fase spero laterale di supponenza... guardo i trailer e percepisco al millesimo come sarà il film veramente; mi creo un pregiudizio che quasi sempre accompagna le mie visioni e conferma la prima impressione. Mi chiedo dove sono andati quei famosi montatori di trailer statunitensi capaci di emozionare in 2 o 3 minuti più dell'opera stessa; probabilmente la crisi picchia duro o piuttosto non possono fare miracoli quando il materiale di partenza è così modesto.
Dal teaser avevo pensato ad un gangster movie patinato, fumettoso e stereotipato con un Penn truccato stile Al Capone al minimo sindacale. Ebbene
ecco che il tutto miseramente si sciorina di fronte ai miei occhi annoiati in due ore di estenuante visione con brevi momenti accettabili in mezzo ad un mare di situazioni prevedibili e a qualche guizzo veramente imbarazzante. Degli attori non parlo perchè non meritano; qualcuno recita per portare a casa la pagnotta, Penn punta al premio"discount", Brolin monocorde mentre Goslin delude in pieno non accorgendosi che non può rifare in ogni film il bullo fighetto di "Drive". Unica luce che filtra sullo schermo è quel gigione di Nick Nolte che riempe l'immagine già solo con il suo fisico debordante.
Cast sprecato in mano ad un regista che aveva sorpreso in "Benvenuti a Zombieland" ma che qui sembra smarrito, troppo attento a ricreare un'atmosfera che la sceneggiatura soffoca in dialoghi al limite del risibile e in citazioni troppo superficiali. Inizia una pessima stagione cinematografica sulla carta e gli incassi precipitano. Sarà forse un segno dei tempi ma oggi ci tocca sta roba mentre anni fa con "L.A. Confidential" si sposava perfettamente un plot tratto da un meraviglioso lavoro di Ellroy con una regia rispettosa e meritoria di Hanson; e che dire della bella di turno e del poliziotto irruento... Non sempre è giusto fare paragoni ma mi trovo sempre più invogliato a cercare visioni del passato piuttosto che i sterili prodotti che oggi ci rifilano. Le serie tv sono altra storia fortunatamente! Ma il cinema e il suo fascino? Suvvia...la speranza è l'ultima a morire!

lunedì 11 febbraio 2013

LINCOLN (Steven Spielberg)

Non è mia abitudine leggere critiche approfondite prima di vedere i film o piuttosto subito dopo per evitare di scrivere la mia opinione "appropriandomi" di spunti altrui. Questa volta l'ho fatto facendo scivolare l'attenzione su un pezzo editato dall'interessante sito Carmilla on line; e visto che raramente mi capita di specchiarmi così fedelmente nelle parole e nell'assunto di un altro opinionista è mio dovere non aggiungere una parola e linkare qui di seguito il pezzo per rendere omaggio a chi lo ha scritto. Quoto in pieno dalla prima all'ultima parola.
Perchè?

http://www.carmillaonline.com/archives/2013/02/004618.html

venerdì 1 febbraio 2013

TITANIC (JAMES CAMERON)

Bigger than life.
Cosa rende un film un capolavoro? Chi lo decide? Il pubblico? Il botteghino? La critica?
Un fischietto. Dopo avere salutato il suo amato Jack, Rose lo utilizza con le ultime forze rimastele per mantenere la promessa appena fatta e per istinto di sopravvivenza. Il suo fischio è un gesto catartico che dona speranza allo spettatore dopo le drammatiche scene dell'inabissamento.
Con una elissi azzardata mi hanno fatto pensare alle strazianti immagini di quel povero ragazzo morto venerdì scorso sul campo di pallone...schiantato a terra da un dolore più grande di lui cerca per due volte invano di rialzarsi; una lotta contro l'inevitabile, una forza animalesca che lo rende per pochi secondi un eroe ai miei occhi che un attimo dopo si riempono inesorabilmente di lacrime vere, spontanee. Rose colpisce di nuovo quando ci sbatte in faccia la realtà ovvero nel momento che guarda la camera e ripete che solo una delle venti scialuppe di salvataggio del gigante inaffondabile ritorna indietro alla ricerca di sopravvissuti...una sola.Viaggio in prima classe di una ribelle che si innamora di un bellone gracile della terza, questo kolossal indimenticabile aggiorna i classici hollywoodiani chiudendo nello stesso tempo il secolo scorso e il genere con un canto del cigno formidabile, insperato.
Come il migliore Lean,  Cameron scrive di una tragedia fisica,metaforica e spettacolare attraverso gli occhi di una donna risoluta, dolce, combattiva.
Una pellicola che omaggia il cinema in ogni inquadratura singola e con un montaggio quasi perfetto;  tutto torna,tutto crea un senso, tutto resta nella Storia. Tutto con semplicità di scrittura e complessità di sguardo.
Cameron diventa il Re del Mondo costruendo a tavolino un immenso affresco del titanico sogno di essere immortali. In questo il 3D sembra accompagnare lo spettatore senza un vera funzione; in realtà lo nasconde, lo rende avvolgente sorprendentemente nella prima parte rispetto alla spettacolare seconda, dove piano piano sparisce per lasciare spazio alle immagini piatte sempre più drammatiche. Il creatore di "Avatar" si controlla e ci regala più che la terza dimensione la possibilità di contemplare nuovamente sullo schermo cinematografico la sua creatura più ispirata, più controllata, più riuscita.
Un film che dopo 15 anni grida forte la sua forza rendendo pallidi gli emuli di questo inizio secolo.
"Tre anni a cercare di capire il Titanic...senza mai sentirlo con il cuore"...come dice il ricercatore nel finale.
Cameron riesce nell'impresa universale di dare a un impianto meccanico un cuore umano, naturale; il miracolo risiede nel rendere di carne e ossa i protagonisti fasulli di una storia vera, in mezzo a personaggi realmente esistiti con i loro anedotti passati alle cronache. Un cuore che non ha trovato fortuna negli ultimi lavori di Scorsese e Spielberg,meccanismi inceppati nella pesantezza degli ingranaggi citazionisti. Un capolavoro come "Titanic" rende giustizia alla settima arte riuscendo a mettere d'accordo corpo e anima, spettatore e critica, rendendo semplice alla visione uno sforzo produttivo immane, un sogno personale folle.
Occhialini o meno sarebbe un delitto perdersi l'opportunità di riconciliarsi con il buon cinema ,soprattutto ora che siamo in un periodo di forte carestia.
"La prima classe costa mille lire,la seconda cento,la terza dolore e spavento...".

mercoledì 30 gennaio 2013

VALLANZASCA - GLI ANGELI DEL MALE (2010)

Kim Vallanzasca conquista ,stordisce e ci abbandona con la tenera forza del quaglione milanese.
Un monumento attoriale che se all'inizio per via dell'accento cosi' alieno ci sorprende e ci appare improbabile, passo dopo passo si costruisce addosso il personaggio corteggiando continuamente il nostro sorriso e conquistando infine il nostro tifo. Circonda il talentuoso Kim un cast all'altezza, un montaggio secco e veloce, una colonna sonora efficace e un senso di spettacolarizzazione derivante dalla banda della Magliana e non da quer brutto pasticciaccio del '68 placidiano.
Romanzo criminale in solitaria dove vince il cattivo perche' ha la faccia d'angelo e il lato oscuro leggermente più pronunciato... Realizzato oltroceano avrebbe partorito altri incassi ed altre critiche; qui poca roba e solite pernacchie politiche da kultura nazionalpopolare.
Kill Kim! Ex ragazzo dal kimono d'oro...

martedì 22 gennaio 2013

DEPARTURES

"Qualsiasi atto che tiene a distanza la morte ostacola la vita. Una vita non in contatto con la morte e' mortale ,moribonda." JamesHillman  
                              
 Un fiore di loto .Una piccola poesia zen. In questa opera vi e' racchiusa, con semplicita' disarmante, la transitorieta' della nostra vita e il cammino di saluto  unicamente orientale. Il regista attraverso l'insegnamento del miglior cinema giapponese a partire dal maestro Ozu distilla una perfetta storia sull'ultimo saluto, l'ultimo omaggio figlio del dolore, porta aperta ad una nuova rinascita per ognuno diversa, buddista ,cristiana, pagana.
Attraverso gli occhi del magnifico interprete ci ritroviamo a fare un percorso di distacco, la musica che lo abbandona, di elaborazione del lutto, di cambiamento, quindi di coraggio, tornando al paese natio, fino ad arrivare quasi un destino lo guidi ad un lavoro che filosoficamente e spiritualmente lo avvolge, lo purifica e sul finire lo libera da un samsara di passioni negative paterne. E' una piccola illuminazione che rende consapevole un'intera vita ed ha la forza sorprendente di un piccolo miracolo quando poco alla volta tocca le persone che lo circondano ,irradiando le note del suo violoncello fino ad essere una cosa sola con la natura circostante.
Un film tanto semplice nell'animo e nei sentimenti manifestati quanto pericoloso per noi piccoli traghettatori delle nostre animucce nel quotidiano sempre piu' grigio di una vita persa dietro a vuoti meccanismi coercitivi, giustificati dal materialismo sfrenato o solo dalla sterile ricerca di un dopo sereno che passo dopo passo rende mediocre il presente stanco e stantio.
Una pellicola perfetta pur nei suoi piccoli difetti come la storiella prevedibile della pietra che pero' apre a tutti la speranza nel perdono e la ricerca in vita della soluzione dei confronti. Nulla puo' fermare la dolcezza,  la serenita',la forza di un uomo, una donna che consapevolmente rendono giustizia alla morte fisica con gesti silenziosi di una bellezza sconvolgente. Nulla ci puo' salvare se non la possibilita' di ritornare ad amare senza rimpianti e soprattutto senza pregiudizi. Siamo un suono armonico del violoncello. Siamo perfetti come l'inchino doveroso di fronte alla morte terrena. Siamo pronti a riappropriarci dei nostri sentimenti umani sapendo che questo dono va fino alla fine ed oltre difeso e osannato.
Quest' opera ci ricorda questo e riesce nel piccolo miracolo di condensare pensieri antichi ed importanti in semplici stati d'animo comprensibili ai piu' con una costruzione stilistica asciutta, spontanea e sorprendente.
Tutti siamo la donna proprietaria del bagno e tutti siamo anche il figlio cieco e sordo; sta a ognuno decidere quando realizzare il proprio se' aprendo gli occhi per vedere la fine delle sofferenze e sturando le orecchie per sentire la sinfonia del proprio cuore.
Solo il Giappone poteva regalarci un'opera cosi' e non sapendolo fino in fondo a noi occidentali e' rivolta e dedicata.

'Conformati alla tua sorte ed ama,ma di vero amore,gli uomini coi quali ti e' toccato di vivere." Marco Aurelio

martedì 15 gennaio 2013

PARADISO AMARO

Ma... ovvero come le aspettative condizionano un'opera.
Dopo due viaggi fisici ,dell'anima accompagnati da  Nicholson e Giamatti un pit stop targato Clooney.
Ingredienti simili e regia/sceneggiatura autoriale con imprinting original ma risultato sotto le attese del tempo trascorso tra le opere citate.
Un'opera studiata e cerebrale che coinvolge in parte, non entra sottopelle e soprattutto non si imprime nell'immaginario dello spettatore.
Aspettative... chiaramente invece per chi si troverà per la prima volta davanti a un film di Payne  facilmente il quadro o piuttosto la prospettiva si ribalterà scoprendo un taglio originale, semplicemente diverso.
Aspettando di poterlo rivalutare mi vado a rispolverare la perfetta solitudine di Giamatti in "Sideways" o la struggente poetica di Nicholson in "About Schmidt", personaggi perfetti nel loro incedere verso l'abisso del proprio IO.

«Due giovani pesci nuotano insieme. Incontrano un pesce più vecchio che nuota in direzione opposta. "Buongiorno ragazzi, com'è oggi l'acqua?", fa il vecchio. I due continuano a nuotare per un po', perplessi. Poi uno dei due dice: "E che diavolo è l'acqua?"».

David Foster Wallace

domenica 13 gennaio 2013

PROMETHEUS

Mio zio mi ha riportato al cine ma questa volta l'ho fatto sedere molte file davanti...
il film è vietato ai 14 ma lui conosce la maschera e l'ha corrotta regalandogli una confezione da 6 di spuma.
Prima di entrare mio zio mi ha detto che a lui il regista piaceva ma non piace più da un pò...non so che voleva dirmi ma io Alien l'ho visto e mi ha fatto tanto paura.
Inizia il film e le immagini sono affascinanti anche se si vede che siamo dalle parti dell'Islanda...
quando arriva l'astronave mio zio mi manda sul cell un wots ap dove dice che si parte e devo avere lo stomaco forte.
Io per non sapere nè criticare nè approfondire ho mangiato un kebab e qualche patatina molle.
C'è il criosonno che mi sembra di avere già visto...poi il gruppo messo insieme alla rinfusa che mi sembra di avere già visto...la donna forte un pò androgina che mi sembra di avere già visto...il robot matto che anche quello l'ho già visto!
mio zio mi dice che sono citazioni colte ed io sono un asino.
C'è anche quella figona della Therona, ma recita come un prosciutto insaccato.
Quando arrivano sul pianeta ed iniziano ad andare in giro il kebab inizia a possedermi...o forse è la noia che inizia a bussare? Cerco di farmi due risate con il geologo e il biologo della spedizione che manco a scuola da me riuscirebbero a passare gli esami a sorpresa; poi mi dicono che il pezzo di carta bisogna sudarselo...penso che sono antipatici e stupidi e saranno i primi a morire.
Mio zio mi manda una faccina con la Z che esce dalla bocca.
Quelli dell'astronave iniziano a parlare di filosofia e dei massimi sistemi...io ne capisco poco ma forse pure loro e pure il tipo che ha scritto sta boiata.
Ci sono giganti che corrono come fossero nel commodore 64...
sono stanco e domani mi tocca accompagnare la mamma a fare la spesa.
Nell'intervallo vado a chiedere i soldi per la bibita allo zio, lui me li sgancia a fatica perchè impegnato a parlare con un suo amichetto che suona la musica come lavoro.
La seconda parte è più bella perchè la tipa del film si fa un aborto con le graffette e poi corre come Bolt contro gli alieni cattivi.
Poi parlano, torna un vecchio, fanno cose ma io capisco poco o niente...mio zio mi manda un messaggio dicendomi che la prossima volta andiamo a vedere un film turco o coreano. Si accendono le luci e mi tolgo gli occhiali del 3D pensando a che cazzo serviva la terza dimensione.
Vedo la testa di mio zio ma non si muove...mi avvicino e lo trovo con una bella bolla dal naso che scoppia come il torace di quello di prima che chiamano ingegnere...ma... inizio a pensare che forse invece di vedere maestri decadenti sia l'ora di dedicarmi a letture stimolanti e visioni intelligenti.
Mi stappo una spuma e faccio finta di vomitare su mio zio come dopo il criosonno...lui sorride, ride a crepapelle e mi dà un buffetto...gli voglio bene ma non gli dirò mai che ormai il blockbuster americano è morto defunto; gli voglio troppo bene per dargli un dispiacere ed abbracciare catarticamente la filmografia moderna coreana.
Arirang...arirang...arirang!

mercoledì 9 gennaio 2013

THE SOCIAL NETWORK

La solitudine del numero primo. Forse. La storia che si fa metafora come nella migliore narrazione possibile, accessibile. Una scrittura perfetta di un piccolo genio di nome Sorkin, una regia asciutta, intensa come Fincher ormai ci ha abituati e l'uso delle musiche avvolgenti, realizzanti un abbraccio armonioso con le braccia ideali dello schermo cinematografico. Un piccolo film perfetto che compie il miracolo di mettere d'accordo i critici criticoni e quelli piu' soft. Un piccolo grande film che ci ci ricorda che grandi idee nascono casualmente da reazioni/azioni banali, che i soldi non aiutano ad avere veri amici anzi possono allontanarli, che non siamo stronzi ma ci impegniamo quasi sistematicamente a farli. E ci ritroviamo chi giovane, chi meno, nel nostro intimo per ambizione o per semplice coazione emotiva a pigiare il nostro piccolo bottone nella speranza che qualcosa cambi...

domenica 6 gennaio 2013

"IL CIGNO NERO"

Nella quiete non vi è nulla che non sia in quiete.
Nel movimento non vi è nulla che non si muova.
      - Li I Yu (CLassico del Taiji)

Entrare e' possibile solo in punta di piedi, lasciandosi andare alle paure piu' inconsce e scarnificando passo dopo passo il nostro leggero corpo di spettatore.
Chiamati al doveroso lavoro di sofferenza votato alla perfezione ,nudi di fronte alle ossessioni che prendono forma e presentano il conto del nostro vissuto passato,soffocando il presente e annebbiando il futuro. Il wrestling della danza affidato al corpo sottile e nervoso della Portman angoscia la nostra visione relegando i nostri dubbi ad una superficialita' di visione che come lo specchio vetro del camerino si frantuma sulle note dell'incalzante finale di Tchaikovsky.
Se non sapete volteggiare sulle punte come il cigno bianco e nel contempo trasformarvi nell'energico e crudele cigno nero del nostro piu' ansimante lato oscuro girate alla larga. Rimanete nel camerino a sognare un posto da prima ballerina senza la volonta' di guardarvi dentro e scoprire che non vi piacete affatto.