venerdì 9 novembre 2018

FIRST MAN

Chazelle è un regista straordinario.
Basterebbe questo per molti spettatori.
Chazelle è anche sceneggiatore.
Bene.
Chazelle al terzo film vira.
Bravo.
I fan di Chazelle rimangono interdetti. Critiche tiepide, qualche sbadiglio.
Dicono che all' allunnaggio abbia preferito l'intima vita del protagonista. Che palle.
Dicono che la minuzia doviziosa dei dettagli premi il passato analogico.
Dicono che Gonsling sia all'ennesima prova da manichino.
Dicono che uffa che barba tanto sappiamo come va a finire.
Perplessità.
Un' opera immensa che pretende concentrazione ma che ripaga sotto ogni aspetto anche se s'inserisce nella malinconica poetica del regista statunitense.
Whiplash come uno schiaffo, La la Land come una calda carezza che scema ed ora First Man come una stretta di mano che nello stesso tempo conforta e rincuora.
Resilienza.
Amstrong raggiunge la luna per elaborare un lutto.
Un'opera che parla metaforicamente dell'allunaggio di ognuno di noi di fronte al dolore sconfinato di questa vita. Un percorso diverso ma tracciato e fondamentale per comprendere il tragitto verso la meta e soprattutto per ricominciare.
Protagonista femminile eccezionale.
Chazelle dirige lasciando la scrittura, rafforza il nostro legame con Amstrong, ci trasporta nel buio siderale per donarci una flebile speranza che nel finale diventa luce morbida, persistente.
Lo fa con un'abilità rara che a 33 anni di età può solo far commuovere.
Alla stessa età Amenabar girava Agorà.
Emozioni compresse in una tuta spaziale, in un silenzio assordante.
Stati d'animo che soffocano nell' automatismo di una ricerca che va oltre l'umano, che ci fa comprendere quanto resistenti possiamo essere.
La tragedia di un uomo, l' elaborazione di un dolore, la sua luna.
Una storia che abbraccia tutti noi attraverso sfumature diverse.
La politica, la concorrenza, il sacrificio, la volontà sono importanti ma rimangono sfere intorno alla sua luna.
La luna che opprime prima e resuscita dopo.
Un'opera preziosa che riconcilia con il cinema intimista.
La La Land del dolore.
Lunga vita a Chazelle.