martedì 28 maggio 2013

LA GRANDE GATSBY O IL GRANDE BELLEZZA?


L'arte, in certe circostanze, scuote gli animi mediocri, e interi mondi possono essere rivelati loro dai suoi interpreti più grossolani.
Gustave Flaubert

da PensieriParole <http://www.pensieriparole.it/aforismi/arte/frase-98085?f=a:4Due autori a Cannes, due modi di fare cinema così vicini e così lontani nello stesso tempo. Uno straordinario funanbolo della settima arte come Luhrmann, un autore contemporaneo come Sorrentino. Due opere che cercano consensi raccogliendo pareri discordi. Dopo un folgorante "Romeo + Giulietta" ed un capolavoro come "Moulin rouge" per l'australiano il baratro dell'imbarazzante "Australia". Dopo l'esordio folgorante de "L'uomo in più" e la conferma con lo splendido "Le conseguenze dell'amore" la maturità del sottostimato "L'amico di famiglia" e il trionfo de "Il divo". Arriviamo al dimenticabile e noioso "Il grande Gatsby" e, dopo la parentesi americana riuscita solo in parte, al romanzo decadente de "La grande bellezza". Cinema che marca un'impronta ben precisa che per il sottoscritto gira a vuoto per la creatura di Fitzgerald, mentre sancisce la gloria di un cineasta colto e abile come il nostro italiota. Una lotta forse impari alla fonte ma significativa nel risultato. La grande fuffa che il mondo di oggi partorisce quotidianamente e che nutre ogni slancio e movimento culturale viene rispecchiata negli anni della dolce vita del Sogno americano piuttosto che nei salotti buoni della contemporaneità capitolina. Un Sogno che nel primo caso s'infrange nell'impossibilità di un amore sfuggente, mentre nel secondo sfiorisce in un'amore ormai lontano, perso, mai consumato con maturità. Una passione che svilisce in piatto sentimentalismo senza sussulti in un continuo fuoco d'artificio iperbolico, dove nemmeno il giochino degli accostamenti musicali moderni può salvare la sbilenca baracca nel quale naufragano senza pietà i sempre bravi Di Caprio e Carey Mulligan; facce da divi prestate ad un insipido gioco roboante senz'anima. Un kitch imperante che fa di un atto di volontà uno sbadiglio infinito. Nel grande vuoto della capitale italiana l'assenza d'intenti regna sovrana, trovando nei personaggi bizzari e caricaturali delle feste fatiscenti delle terrazze più in voga la continua ragion d'essere di un effimero nirvana di apparizioni mutanti. Sorrentino ha il coraggio di girare un'opera pretestuosa, pretenziosa e vuota come la realtà che chirurgicamente vuole rappresentare. E lo fa con la tecnica ridondante, superba e barocca della quale ci ha abituato strada facendo. Non ci risparmia nè noia, nè inquadrature senza motivo apparente, nè giochini artistici di bassa calatura in mezzo a prodotti di sublime Bellezza, per rimembrarci di come non sia possibile un equilibrio di sorta in questo mondo, neppure in un ideale esercizio di filosofia spicciola. Servillo giganteggia come maschera tragica in un gioco squisitamente teatrale, sovraccarico, inutile, incredibilmente potente. Con il beneplacito del maestro Fellini e dell'indifferenza intellettuale del Moravia. Un'opera ufo nel nostro presente culturale che esplode come grido silenzioso di vacuità indecifrabile. Dove Gatsby/Di Caprio sprofonda, Jep Gambardella/Servillo svetta in una cinica amarezza flaubertiana. Come nel suo primo romanzo Sorrentino cerca un overdose di contenuti centrandone alcuni, rimandandone altri, sfocandone taluni. Una generosità impari che va sostenuta e valorizzata in mercato sempre più livellato. Per Lhurmann una triste discesa negli inferi che fa ricordare con infinita tenerezza la malinconia della Roxanne in versione tango; per il nostro autore di punta una conferma dell'infinito talento che lo ha baciato con uno schiaffo violento al clima cultural nazionale che lo vuole screditare per una necessaria ed orripilante fotografia dei nostri tempi. Siamo destinati a salotti sempre più mondani e sempre meno confortevoli. Prigionieri del Grande Nulla che ci fagocita in un continuo divenire senza opposizione. "Noi facciamo i più bei trenini che si fanno oggi a Roma!" dice Jep...concludendo:"Sai perchè? Perchè non portano da nessuna parte!".



mercoledì 22 maggio 2013

EXIT THROUGHT THE GIFT SHOP




L'altra sera come raramente capita mi sono inbattuto in questo documentario di cui non conoscevo neppure l'esistenza. Ed oggi sono ancora qui che ci penso...Nessuna opinione o critica perchè qualsiasi cosa scrivessi rovinerebbe quello che io ho trovato straordinariamente desolante. Consigliato a tutti per capire in che mondo viviamo. Sono aperti i confronti per chi ne vuole parlare.
L'unica cosa che vi dico è di vederlo fino alla fine anche se magari non vi attira il mondo della street art dove è ambientato; c'è molto di più...Ci siamo noi tutti e quello che questo mondo a volte sceglie di rendere prezioso. A torto o a ragione? Il dibattito s'incendia.