giovedì 27 febbraio 2014

12 ANNI SCHIAVO

Eccoci al dunque. Dopo due egregie
pellicole come "Hunger" e "Shame" la poetica visionaria di McQueen si arena nella classica opera tributo a valori più alti, non criticabili se non per passare indelicati, o peggio mostruosi. L'operazione puzzava già dai nomi coinvolti, ma l'esito è veramente desolante. Ennesima delusione degli ultimi tempi cinematografici, giustamente premiata da un'ondata di Oscar meritati visti i tempi oscuri. Corona l'ambita corsa ai premi un concorrente come "American Hustle", scimiottatura ben fatta di opere scorsesiane di altri tempi. "Gravity" non è un capolavoro ma almeno ha il buon gusto di essere tecnicamente rivoluzionario e quindi apportare ossigeno allo spettatore sfiduciato degli ultimi tempi. Un libro dimenticato con tanto di storia straordinaria fa da sfondo a questo drammone che guarda ai classici senza reinventarli e ricatta lo spettatore più volenteroso con un girone infernale violento e sadico. Che sia un marchio di fabbrica del regista non c'è dubbio, ma mentre nei precedenti film risultasse conforme alle storie, qui deborda senza diventare arte, senza appassionare, senza ripulire fino in fondo l'idea che tutto sia studiato, eccessivo come i personaggi caratterizzati a partire dal protagonista fino ad un attore feticcio come Fassbinder qui in versione mefistofele e un Brad Pitt incarnante l'illuminismo successivo. Regia solida e classica per un regista ribelle fino a qui, schematismo senza sussulti ,strizzata d'occhio all'Academy con un finale tra i più deludenti degli ultimi anni per opere di questo genere. Un vero peccato davvero per la squadra messa in campo, ma l'aria pesava già dal primo allenamento. Lontano dalla spettacolarizzazione di Spielberg non vale un pensiero illuminante di quanto con ironia e genialità non abbia espresso Tarantino in "Django unchained". Ecco perchè il cinema ha bisogno di narratori più che di registi. Se poi sono la stessa persona, autori nonchè visionari gioiamo con fervore. Aspettiamo McQueen alla prossima prova, sperando di nuovo smarcato da produzioni a lui poco consone.

P.S. Ho scelto apposta la orribile gigantografia dell'edizione italiana per testimoniare un marketing aberrante con Pitt angelico stile rappresentazioni Padre Pio. O Padre Maronno?!

giovedì 13 febbraio 2014

ALI' HA GLI OCCHI AZZURRI

Sulle note di Gigi D'Alessio la giovane coppia mista formata da Nadir, immigrato islamico di seconda generazione, e della sua fidanzatina romana sembra trovare un lieto fine che un finale aperto rinvia, o forse allontana per sempre. Alì ha gli occhi neri come la profonda appartenenza del suo popolo alle radici della sua religione; attraverso le lenti a contatto azzurre tenta, cerca un'integrazione gettando un ponte tra due culture, stili di vita che dapprima abbraccia, poi riflette. La periferia romana pennellata attraverso comprimari realistici che comunicano un vissuto vero, vuoto, dirompente nella violenza che caratterizza quasi ogni gesto quotidiano. Rifuggono la mestizia della famiglia egiziana del ragazzo e le parentesi affettuose tra adolescenti in cerca di una via di fuga da un futuro scritto, pericoloso, asettico. I ragazzi emulano i meccanismi perversi degli adulti tra discriminazioni, gerarchie, violenze taciute. Un'opera stratificata che fotografa una realtà in divenire, una regia solida, senza sbavature, che accompagna i suoi personaggi verso la ricerca di una felicità forse illusoria. Un piccolo saggio sociologico che dovrebbe essere proiettato nelle scuole. Un piccolo grande film che ha il merito di fare riflettere e porre domande su ciò che siamo e ciò che vorremmo essere. La continua ed incessante ricerca di una verità nascosta in ognuno di noi; le famiglie che impongono, anche solo dolcemente, e non comprendono. Amano i loro figli ma non riescono a mettersi in linea con i tempi; questi tempi sempre più bui, complessi e aridi di speranze per il genere umano. Abbiamo tutti gli occhi neri, ma cerchiamo in ogni dove di averli azzurri per sfuggire ai nostri destini.

A Jean-Paul Sartre, che mi ha raccontato
la storia di Alì dagli Occhi Azzurri 
............................Era nel mondo un figlio 
............................e un giorno andò in Calabria:
............................era estate, ed erano 
............................vuote le casupole, 
............................nuove, a pandizucchero, 
............................da fiabe di fate color 
............................della fame. Vuote.
Come porcili senza porci, nel centro di orti senza insalata, di campi 
senza terra, di greti senza acqua. Coltivate dalla luna, le campagne. 
Le spighe cresciute per bocche di scheletri. Il vento dallo Jonio
............................scuoteva paglia nera 
............................come nei sogni profetici: 
............................e la luna color della fame 
............................coltivava terreni 
............................che mai l’estate amò. 
............................Ed era nei tempi del figlio 
............................che questo amore poteva 
............................cominciare, e non cominciò. 
............................Il figlio aveva degli occhi 
............................di paglia bruciata, occhi 
............................senza paura, e vide tutto 
............................ciò che era male: nulla 
............................sapeva dell’agricoltura, 
............................delle riforme, della lotta 
............................sindacale, degli Enti Benefattori, 
............................lui - ma aveva quegli occhi.
 
..........................
.


 Ogni oscuro contadino
............................aveva abbandonato
............................quelle sue casupole nuove 
............................come porcili senza porci, 
............................su radure color della fame, 
............................sotto montagnole rotonde 
............................in vista dello Jonio profetico. 
............................Tre millenni passarono
non tre secoli, non tre anni, e si sentiva di nuovo nell’aria malarica 
l’attesa dei coloni greci. Ah, per quanto ancora, operaio di Milano, 
lotterai solo per il salario? Non lo vedi come questi qui ti venerano?
............................Quasi come un padrone. 
............................Ti porterebbero su 
............................dalla loro antica regione, 
............................frutti e animali, i loro 
............................feticci oscuri, a deporli 
............................con l’orgoglio del rito 
............................nelle tue stanzette novecento, 
............................tra frigorifero e televisione, 
............................attratti dalla tua divinità, 
............................Tu, delle Commissioni Interne, 
............................tu della CGIL, Divinità alleata, 
............................nel sicuro sole del Nord.
............................Nella loro Terra di razze 
............................diverse, la luna coltiva 
............................una campagna che tu 
............................gli hai procurata inutilmente. 
............................Nella loro Terra di Bestie 
............................Famigliari, la luna 
............................è maestra d’anime che tu
hai modernizzato inutilmente. Ah, ma il figlio sa: la grazia del sapere
è un vento che cambia corso, nel cielo. Soffia ora forse dall’Africa
e tu ascolta ciò che per grazia il figlio sa. Se egli poi non sorride 
............................è perchè la speranza per lui
............................non fu luce ma razionalità. 
............................E la luce del sentimento 
............................dell’Africa, che d’improvviso 
............................spazza le Calabrie, sia un segno 
............................senza significato, valevole 
............................per i tempi futuri! Ecco:
............................tu smetterai di lottare 
............................per il salario e armerai 
............................la mano dei Calabresi.
............................Alì dagli Occhi Azzurri 
............................uno dei tanti figli di figli, 
............................scenderà da Algeri, su navi 
............................a vela e a remi. Saranno 
............................con lui migliaia di uomini 
............................coi corpicini e gli occhi 
............................di poveri cani dei padri
sulle barche varate nei Regni della Fame. Porteranno con sè i bambini, 
e il pane e il formaggio, nelle carte gialle del Lunedì di Pasqua. 
Porteranno le nonne e gli asini, sulle triremi rubate ai porti coloniali.
............................Sbarcheranno a Crotone o a Palmi, 
............................a milioni, vestiti di stracci 
............................asiatici, e di camicie americane. 
............................Subito i Calabresi diranno, 
............................come da malandrini a malandrini:
............................«Ecco i vecchi fratelli, 
............................coi figli e il pane e formaggio!»
............................Da Crotone o Palmi saliranno 
............................a Napoli, e da lì a Barcellona, 
............................a Salonicco e a Marsiglia, 
............................nelle Città della Malavita. 
............................Anime e angeli, topi e pidocchi, 
............................col germe della Storia Antica 
............................voleranno davanti alle willaye.
............................Essi sempre umili 
............................Essi sempre deboli 
............................essi sempre timidi 
............................essi sempre infimi 
............................essi sempre colpevoli 
............................essi sempre sudditi 
............................essi sempre piccoli,
essi che non vollero mai sapere, essi che ebbero occhi solo per implorare, 
essi che vissero come assassini sotto terra, essi che vissero come banditi 
in fondo al mare, essi che vissero come pazzi in mezzo al cielo,
............................essi che si costruirono 
............................leggi fuori dalla legge, 
............................essi che si adattarono 
............................a un mondo sotto il mondo 
............................essi che credettero 
............................in un Dio servo di Dio, 
............................essi che cantavano 
............................ai massacri dei re, 
............................essi che ballavano 
............................alle guerre borghesi, 
............................essi che pregavano 
............................alle lotte operaie...
............................… deponendo l’onestà 
............................delle religioni contadine, 
............................dimenticando l’onore 
............................della malavita, 
............................tradendo il candore 
............................dei popoli barbari, 
............................dietro ai loro Alì
dagli Occhi Azzurri - usciranno da sotto la terra per uccidere – 
usciranno dal fondo del mare per aggredire - scenderanno 
dall’alto del cielo per derubare - e prima di giungere a Parigi
............................per insegnare la gioia di vivere, 
............................prima di giungere a Londra 
............................per insegnare a essere liberi, 
............................prima di giungere a New York, 
............................per insegnare come si è fratelli
............................- distruggeranno Roma 
............................e sulle sue rovine 
............................deporranno il germe 
............................della Storia Antica. 
............................Poi col Papa e ogni sacramento 
............................andranno su come zingari 
............................verso nord-ovest
............................con le bandiere rosse 
............................di Trotzky al vento...
.
Avvertenza (p: 515)
Fatti e personaggi di questo libro sono puramente immaginari ecc. ecc. Qualsiasi riferimento a fatti e personaggi reali è puramente casuale ecc. ecc.
[…]
Ringrazio anche Ninetto Davoli, per i suoi contributi linguistici involontari e soprattutto per la sua allegria: 
Ed ecco che entra nella platea un ossesso, con gli occhi dolci 
e ridarelli, 
vestito come i Beatles. 
Mentre grandi pensieri e grandi azioni 
sono implicati nel rapporto di questi ricchi con lo spettacolo, 
fatto anche per lui, egli col suo dito magro di cavallino delle giostre, 
scrive il suo nome «Ninetto», 
nel velluto dello schienale (sotto una piccola nuca orecchiuta 
contenente le norme del comportamento e l’idea della borghesia libera).
Ninetto è un messaggero, 
e vincendo (con un riso di zucchero 
che gli sfolgora da tutto l’essere, come in un mussulmano o un indù) 
la timidezza, 
si presenta come in un areopago 
a parlare dei Persiani.
 
I Persiani, dice, si ammassano alle frontiere.
Ma milioni e milioni di essi sono già pacificamente. immigrati, 
sono qui, al capolinea del 12, del 13, del 409, dei tranvetti 
della Stefer. Che bei Persiani!
Dio li ha appena sbozzati, in gioventù, 
come i mussulmani o gli indù:
hanno i lineamenti corti degli animali,
gli zigomi duri, i nasetti schiacciati o all’insù, 
le ciglia lunghe lunghe, i capelli riccetti.
 

Il loro capo si chiama:
Alì dagli Occhi Azzurri.
(1965)

lunedì 3 febbraio 2014

PHILIP SEYMOUR HOFFMAN

Ci sono partenze che colpiscono, lasciano l'amaro in bocca ed altre che lasciano indifferenti, quasi cinici in un mondo globale come il nostro dove tutto assume un'importanza enfatica in pochi secondi per lasciare presto il posto ad una nuova notizia più sconvolgente o semplicemente più importante. La morte di questo prezioso interprete rende tristi parte dei cinefili più sensibili perchè ci priva egoisticamente di una presenza fisica attoriale senza pari negli ultimi anni. Una carriera oculata, sapiente, rigorosa che anche in alcune scelte assai discutibili ha ripagato l'occhio dello spettatore attento, sorvolando sulla pellicola poco riuscita. Mi viene in mente come esempio quello zenit trash di "Flawless" con un Bob De Niro ormai decadente e sempre più maschera digrignante del suo mito offuscato. Anche lì, tra un mostro sacro in declino ed un folle regista autore di opere votate alla misera mediocrità, il nostro risplendeva di luce propria portando a casa come si dice la pagnotta. Normale che le vette fossero raggiunte in compagnia di autori capaci di affidargli ruoli memorabili a partire dal goffo insegnante nella "25 ora" di Spike Lee, passando dal rigido e oscuro fratello nell' "Onora il padre e la madre" di Lumet, fino ad arrivare all'acclamato tour de force dell'ultimo "The master". In mezzo il delicato e sensibile infermiere interpretato in "Magnolia", prova di assoluta misura e dolcezza, controcanto al nervosismo scattante del Cruise figlio sessista. Senza dimenticare la metamorfosi strabiliante che lo ha portato a vincere l'Oscar per il ruolo di una vita per "Capote". Difficile immaginarselo a lottare con il demone della droga, sempre misurato e docile nelle interviste, nelle uscite pubbliche e in quella stazza così poco radical-chic da essere amato dai più, da essere ricordato da tutti senza magari saperne il nome un pò complesso. Un attore completo, un caratterista capace di cambiare il vento dei sentimenti anche in piccoli camei; un artista che mancherà a chi ama il cinema di qualità. Manteniamo vivo il suo ricordo, il suo prezioso lavoro ammirandone l'intensità e la coinvolgente passione attraverso le performance eccezionali che ci ha regalato. Addio Philip Seymour Hoffman e grazie di cuore.

"Non m'importa cosa dice la gente di me, finchè non è vero."
Truman Capote