giovedì 18 febbraio 2016

THE HATEFUL EIGHT

Dicono sia un Tarantino minore. Dicono abbia sbagliato un colpo. Dicono sia pesante. Dicono sia lungo, noioso. Dicono sia violento senza un significato. Dicono sia un megalomane ad aver girato in 70 mm. Dicono...
Io dico che Quentin Tarantino è pura aria fresca. Io dico che questo regista come forse nessun altro negli ultimi decenni ha il potere di fare ciò che vuole, infischiandosene di fan e detrattori. Io dico che è follia non vedere quest'opera riconosciuta almeno con una nomination alla regia alla prossima notte degli Oscar. Pochi si ricordano che dopo Pulp Fiction fece per molti un passo indietro con Jackie Brown, senza capire che il passo era laterale, o meglio, trasversale. Da un punto di vista di scrittura lo sceneggiatore Tarantino decide di volta in volta di divertire iconicamente o di riflettere ironicamente. Come per la pellicola del 1997 qui torna ad un testo fitto come al solito, meno tagliente all'apparenza ma potente nei sottotesti. E lo fa continuando sorprendentemente ad affinare la sua maestria registica. Contiene i movimenti di macchina racchiudendo quasi l'intero film in medi, primi piani di strabiliante resa nella sfida vinta del formato glorioso del 70 mm in pellicola. Una sfida all'apparenza sgangherata o vezzosa ma vinta in pieno per la resa immaginifica che restituisce all'occhio rapito dello spettatore. La splendida arena di Melzo con una pellicola al dir poco perfetta ed un sonoro pulito ed eccezionalmente equilibrato rende giustizia alla fruizione in sala voluta dallo stesso Tarantino. Operazione malinconia da un lato, ma ennesima dimostrazione di come questo autore ami il grande schermo e sia in grado di reinventare copiando ed omaggiando un genere, un'era, un gusto che in altri schermi più piccoli si va a ridimensionare in tutti i sensi. Sia lode anche per questo a un sognatore mai domo.
Il gusto della narrazione è centrale e i personaggi caratterizzati da dialoghi capaci di intrattenere senza stancare; per assaporare meglio la storia sarebbe meglio prima o dopo una piccola ricerca sulla guerra nordisti e sudisti ove è contestualizzata. La politica da Bastardi senza gloria in poi è diventata parte del cinema di Tarantino; a suo modo certo.
Interpreti a loro agio che impreziosiscono il gioco teatrale messo in moto in una stanza dal burattinaio sanguinolento. Come sempre tutto funziona nel cinema assoluto del regista di Le iene
e nulla è lasciato al caso.
Rispetto a Django qui gira un western classico omaggiando la sua amata serie B, rinunciando come si è detto a certi vezzi ma rimarcando il suo tocco soprattutto nei momenti pulp o gore. Una firma che concede ai fan di vecchia data, non gratuita a parer mio in questo cammino di maturità sempre più convincente. Al di là del maestro Morricone per il genere affrontato meno musica esibita ma come sempre scelte originali ed azzeccate.
Dicevano fosse un Tarantino minore. Dicevano che avesse sbagliato un colpo.
Dicevano fosse pesante...Dicevano.
Io dico che come capita spesso solo il Tempo dirà se questa ottava pellicola sia degna di attenzione o meno. Io credo che al di là della storia e dell'importanza sia politica sia di genere questo film sia un ennesimo omaggio ad una gloriosa pagina di cinema e nello stesso tempo una gioia per chi ama la settima arte nonostante le atrocità propinate negli ultimi anni.
Quentin Tarantino potrà anche, forse, sparare un colpo a vuoto; ucciderà qualche fan, forse qualche critico. Qui ha fatto centro ancora una volta. E con uno stile cinematografico che non ha bisogno della lettera di Lincoln per deviare il fuoco. Qui non si fanno prigionieri. Qui si ferma la carovana. Qui il Mito continua aggiornando il suo meridiano di sangue.