sabato 26 dicembre 2020

SOUL

" S'alza il vento! ... Tentiamola la vita!"            Paul Valery

                                                            


Dall'ultimo lungometraggio di Miyazaki allo splendido ultimo Pixar.

La Disney osa ancora una volta e vince una scommessa proibitiva sulla carta. Come ed ancor più che in Coco il rapporto tra vita, morte e rinascita tesse un poema malinconico e dolce verso la comprensione più semplice e gratificante della Vita.

Come ci ha abituato dagli inizi grafica, tecnologia e storia fanno a gara per raggiungere un equilibrio di forma e sostanza che possano essere ugualmente intrattenimento per famiglie con chiavi di letture immediate o stratificate.

Rispetto ai predecessori per la tematica trattata e per il disperato messaggio di fondo,  in realtà questa perla è meno giocosa e allegra per lasciare spazio ad una forte sensazione di smarrimento e riflessione.

Non mancano le rappresentazioni gioiose e animate ma il peso è volutamente sulle spalle del protagonista che non rapisce per empatia ma volutamente ci porta ad un finale dove tutti noi possiamo facilmente identificarci.

Qui regna sovrana la straordinaria facilità di scrittura della casa delle idee tanto da centrare in una sequenza memorabile l'essenza del nostro vivere, al pari del ricordo della vita di coppia del nonnetto di UP.

Magia pura che ancor più potente accarezza l'anima in questo periodo così difficile per la nostra società smarrita; fermarsi per vivere appieno le fortune passate e presenti per poi ripartire con consapevolezza.

Un'opera animata molto buddista in linea con la poetica dello studio Ghibli, con la forma occidentalizzata del gusto della casa di Topolino.

Sfortunatamente assente nella sala cinematografica, fortunatamente presente in streaming.

Sarà una partita ancora lunga e dagli esiti non scontati ma il grande schermo sarà necessario per le pellicole più adatte mentre i canali casalinghi permetteranno la fruizione, quindi la continuità, della fabbrica dei sogni.

Fatevi un regalo in queste giornate di festa; accogliete lo spirito natalizio rincorrendo i vostri sogni, le vostre speranze senza dimenticarvi di assaporare il il cammino per raggiungerli. In quello si celano i segreti del nostro umano sentire.

Altrimenti nulla sarà servito se non ad ossessionarvi e a fare del male a voi stessi e ai cari che vi circondano. 

Siate più Jazz e meno Blues o per lo meno più Soul...

Buon Natale anime in cerca!


 

 



mercoledì 9 settembre 2020

DUNE

“Non devo avere paura. La paura uccide la mente. La paura è la piccola morte che porta con sé l'annullamento totale. Guarderò in faccia la mia paura. Lascerò che mi calpesti e mi attraversi. E quando sarà passata, aprirò il mio occhio interiore e ne scruterò il percorso. Là dove andrà la paura non ci sarà più nulla. Solo io ci sarò.”

  Si può parlare di un'opera cinematografica partendo dal solo trailer?
 Domanda sibillina e poco importante quando la materia di partenza è così pregnante e delicata al momento stesso.

Per gli appassionanti del genere e i cosidetti nerd il mondo di Dune non è un luogo ma un mito; al pari degli spazi remoti ma famigliari di Star Wars piuttosto che gli universi sconosciuti ed ammalianti di Star Trek.

Dove fatica la mente arriva il cuore.

Raramente le due cose coincidono regalando empatia e godimento.

Il libro aprì le porte per ad un trip indimenticabile tanto da dare fama e successo al suo autore per le decadi seguenti, generando capitoli successivi interessanti ma privi del fervore iniziale.

Quando De Laurentis, detentore dei diritti per la trasposizione cinematografica negli anni '80, chiamò Lynch alla guida dell' astronave tutti  i cinefili si unirono ad un'attesa spasmodica che generò una mediocre delusione. Non fu una caporetto ma le incomprensioni tra i due caratteri partorirono un'opera ben inferiore alle attese. Dopo che si accarezzò qualche anno prima la follia di dare in mano lo sviluppo del progetto allo sciamano Jodorowsky con la sua pletora di nomi illustri tra cui Orson Welles nei panni del duca Arkonnen e un certo Salvador
Dalì...

Eccoci al presente con l'imminente rifacimento per mano di quell'altro folle canadese che ha osato mettere mano nientemeno che al sequel di Blade Runner.

Probabilmente faticherà al botteghino, quasi sicuramente non rinverdirà la fortuna del romanzo. Ma abbraccerà i fan di primo pelo e di lungo corso con un lavoro certosino, con pochi o minimi tradimenti e con rigore stilistico a cui il regista ci ha abituato da tempo.

Sarà una sorpresa o meno e ci darà la possibilità di osannare questa ennesima esperienza o criticarla ferocemente ma in questo momento così sterile per il cinema di genere mondiale è sicuramente il film da attendere con passione e fervore. Lunga vita a Villeneuve, ai Fremen, agli Atreides, a Dune e a ciò che ha rappresentato e rappresenta.

Le opere importanti resistono nel Tempo e si trasfigurano in nuovi mezzi ed immagini secondo la moda del momento non perdendo la carica eversiva della narrazione.

La Gilda è intorno a noi ma chi possiede la conoscenza può ambire a sovvertire le regole e creare un futuro più prospero e roseo per questa umanità sempre meno umana.

Herbert come Tolkien e Dick hanno tracciato decadi fa un solco con le loro opere monumentali. Non ci resta che rendergli onore rileggendole, condividendole e cercando la luce in mondi così differentemente oscuri.

 



 


 

domenica 3 maggio 2020

TROLLS

Notizia di questi giorni pandemici lo straordinario successo on demand del secondo capitolo di questa pellicola di animazione del 2016.
In sintesi, causa sale cinematografiche chiuse, la Universal decide di far slittare le date di quasi tutti i suoi film in uscita tranne tre. Con un costo che si aggira tra i 15 e 20 dollari negli Stati Uniti e di 15 euro da noi si noleggia la pellicola e la si tiene disponibile 48 ore per ulteriori visioni dopodiche' sparisce dalla piattaforma. Risultato: nelle ultime cinque settimane TROLLS WORLD TOUR incassa piu' del primo capitolo rimasto nei cinema mondiali ben cinque mesi...
Questo dovuto anche al fatto che mentre nella filiera tradizionale del cinema gli esercenti trattengono il 50% circa del costo del biglietto ovviamente per le piattaforme il produttore arriva a guadagnare l'80% abbattendo i vari costi pubblicitari e fisici. Pensate a questo punto alle sale tradizionali riflettendo sul fatto che al biglietto di circa 8 euro medio intascano 4 euro dai quali sottrarre i costi vivi quali personale, climatizzazione, manutenzione, tasse.
Ovvio che i ricavi che molte volte tengono a galla i vari locali derivino dal bar, dai tanto amati/odiati pop corn e le bibite gassate.
La famiglia tipo al cinema vede alleggerirsi il portafoglio velocemente tra entrata e sosta leccornie.
La stessa famiglia a casa paga la metà tra noleggio e vettovaglie da supermercato.
Considerando poi che per i bambini il fascino del grande schermo o della sala buia può quasi sempre essere bilanciato da un 55-65 pollici con home theater annesso il gioco è fatto o quasi. Vedremo dopo la pandemia come si trasformeranno i cinema, partendo dal fatto che molti chiuderanno.
Un settore negli ultimi anni già altalenante e sofferente  che ha abbassato le saracinesche prima di altre attività durante il Covid e riaprirà chissà quando e in che modo. In piu' per aumentare le difficoltà tutti i film di cartello senza date di uscita certa.
Si rischia di aprire le sale dopo l'estate senza titoli di richiamo. Una carneficina alle porte?
AMC, la piu' grande catena cinematografica del mondo ha risposto a questo successo on demand bloccando le uscite future della Universal. Nelle ultime ore pare ci sia un'apertura tra i due colossi ma è indubbio che la fruizione dei materiali visivi sia ancora una volta in divenire.
Dalla sparizione dei supporti fisici in avanti la sala cinematografica è stata data per morta, riuscendo invece  a resistere trasformandosi o semplicemente accogliendo le richieste di pubblico sensibile alla magia del grande schermo.
Bisognerebbe ulteriormente interrogarci sul numero di schermi Imax negli Stati Uniti piuttosto che dei cinemini culturali in Francia. Qui da noi per mancanza d'investimenti piuttosto che per pigrizia culturale non si è riusciti a tenere il passo, sopravvivendo a macchia di leopardo con poche sinergie in campo.
Pare poi che AMC sia vicino alla bancarotta... Vedete quanto complesso sia il quadro... Difficile immaginarsi un futuro per questo settore che vive di blockbuster, ma finanzia in Italia a pioggia opere prime e seconde discutibilmente culturali attraverso contributi a fondo perduto; ottima soluzione se ci fossero controlli adeguati e se si riuscisse ad aiutare le sale che devono poi proiettarle questi film.
Quanta tenerezza fanno pensare ora Nuovo Cinema Paradiso o i maestosi decenni di Cinecittà.
Ma TROLLS? Con il seguito che ora trionfa nelle case delle famiglie costrette in quarantena, mi sono chiesto come mai il primo film avesse avuto così poco successo rispetto ai competitor di genere.
Lasciando da parte la Disney, che pare non sbagliare un colpo anche se la qualità inizia a dare segni di stanchezza,la Dreamworks non mi sembra così marcatamente ambiziosa nella narrazione e nella grafica, "Dragon trainer" a parte. Per quale motivo un caleindoscopio colorato di pupazzetti divertenti e creativi non hanno sbancato al botteghino? Forse la finestra d'uscita piuttosto che il lancio commerciale o ancora il poco appeal.
Fatto sta che questo gioiellino d'animazione ha tutte le carte in regola per piacere a grandi e piccini con tanto di storiella semplice ed educativa. Novanta minuti senza una scena in eccedenza per una sintesi variopinta di ottimismo e gioia in campo per sconfiggere l'apatica grigia quotidianità degli zombi mangiatrolls.
Il tutto condito da personaggi canterini che regalano momenti felici tra motivetti originali e cover di brani famosi. Un quasi musical animato di tutto rispetto; un'avventura glitterata che mette di buonumore anche i più borbottoni.
Ed il futuro del cinema? Si vedrà come cambierà sperando in una centralità della sala mediata da offerte streaming; una sfida già iniziata anni fa con le tv smart e le piattaforme che pare oggi entrare nel vivo.
Personalmente mi auguro di continuare a gustarmi pellicole su Netflix e poter godere nello stesso tempo della magia del grande schermo.
Vedere "The Irishman" in sala è stata una goduria ma rivederlo a casa è stato altrettanto piacevole.
Certo vedere "1917", ultima mia presenza in sala, sullo schermo piatto casalingo può avere un impatto ben diverso... Qui torniamo al passato.
Il cinema sopravviverà nelle sale per chi vorrà premiare una sensazione totale più che una fruizione parziale.
Ma non è detto che basti.
Lunga vita al cinema in sala, in tv, sulle piattaforme, nel piccolo, grande schermo, tra un click e l'altro, tra una lettura e uno sbadiglio, tra una telefonata e un messaggio.
Da duro e puro spero, immagino, fantastico che si possa ancora godere di un classico nei circuiti adibiti grazie anche al cinepanettone di turno o al blockbuster americano programmato sistematicamente.
Una grande famiglia piange sempre un parente vicino o lontano che perde per strada.
Sogno come nel secondo Gremlins tanti Trolls al cinema che prendono il sopravvento cantando in falsetto improbabili melodie da groupie in disarmo.
Tutto scorre.
A 24 millimetri, ancor più a 25...






lunedì 10 febbraio 2020

1917

La grande guerra.
Mio nonno materno, cavaliere del '99, come erano chiamati i giovani nati nel secolo prima e divenuti maggiorenni in trincea, la visse in prima linea soppravvivendo fingendosi morto in mezzo ad una pila di cadaveri amici.
Mio nonno Pietro morì quando io avevo 3 anni; non feci tempo a sentire narrare questa ed altre vicende inerenti il conflitto ma rimasi sempre colpito, affascinato, sedotto da questo racconto. Io che non ho neppure fatto il militare, che non mi è mai mancato un piatto pieno in tavola, che non ho mai patito il freddo dell'addiaccio. Io che forse sono stato fortunato a crescere alla fine del secolo degli orrori. Io che fatico oggi a riflettere su ciò che è stato perchè nel qui e ora tutto va veloce, senza direzione, senza anima; l'età dell'abbondanza.
Se la seconda guerra mondiale ha lungometraggi importanti e famosi che l'hanno raccontata a partire da Spielberg, Polanski, Malick, la guerra precedente ha meno impatto sullo schermo anche se basterebbe Kubrick a riequilibrare la schermaglia. Un plauso quindi a Sam Mendes per aver riportato con forza il primo conflitto mondiale nei cinema, aggiornandolo con la migliore tecnica della nostra epoca.
Mi permetto solo di ricordare, per dover di cronaca,  una piccola gemma di casa nostra riguardante il tema che uscì qualche anno fa; la gelida trincea e lo spirito cameratesco di una pellicola di un grande maestro come Ermanno Olmi, noncurante della sua età anagrafica: "Torneranno i prati".
Tutto passa, l'orrore, il sacrificio, l'angheria, la belligeranza per lasciare spazio alla forza della natura, del tempo, dell' oblio. Dove sono morti uomini, animali, piante, terra, rifioriscono i prati con ciò che potranno far crescere in quel momento. Tutto passa... Ma a quale prezzo?
Ritorniamo al blockbuster di Mendes, perchè di questo stiamo parlando prendendola alla larga. Di un'opera pensata per il botteghino ma con mire di altro tipo. Qui per mio conto vi è il cuore del dibattito tra chi apprezza e chi storce il naso. Ma credo sia un falsopiano; una trincea poco fangosa alla quale succede una prateria verde di speranza, rispedita indietro da un aereo nemico in collisione mentre una solitaria mucca pascola indifferente.
Tutto parte dai ricordi del nonno del regista ed il materiale raccolto forma una sceneggiatura che trasforma un viaggio tra le linee nemiche in un tour de force per evitare una trappola ben congegnata dai maledetti tedeschi.
Pur non essendo ancora nazisti il film non fa mistero, grazie ai capitali della Dreamworks di Spielberg, di rappresentarci il nemico senza sfumature mentre gli inglesi paiono quasi sempre più italiani brava gente...
Non c'è tempo per soffermarsi su queste quinsquillie perchè il pregio della visione sta nella velocità degli accadimenti, nella densità dei fronti toccati. Qui si erge come un monolite la capacità del regista di ricreare diversi fronti, diverse battaglie, diverse sfide che pennella con differenti scelte tecniche, fotografiche ed artistiche.
Partendo dalla sfida più grande, ovvero la scelta straordinaria e mostruosa di far percepire allo spettatore un unico, lungo, interminabile, incredibile piano sequenza per l'intero arco narrativo.
Una sfida vinta in toto. Un monumento titanico al cinema d'oggi e di sempre.
Va bene Innaritu con "Birdman" ed altri straordinari piani sequenza della storia del cinema, Orson Welles docet, ma scegliere questa particolare tecnica di ripresa per un film d'azione, sempre in location esterne, con la videocamera attaccata al protagonista è una vera sfida contro sè stessi.
Un plauso ed una standing ovation a Mendes per la pazienza, la passione, la volontà di cullare e realizzare comunque un'opera che rimarrà negli occhi degli spettatori a lungo. Chapeau.
Questa peculiarità è preziosa, vivida, travolgente. In una parola sola è cinefila.
Ed è importante focalizzarla perchè anche se è esibita ed esplicita rischia di oscurare il resto per miopia, per ricerca ossessiva di un equilibrio tra narrazione ed immagini. Ma le stesse immagini impresse sulla celluloide sono già di per sè narrazione? Provate a pensare a 1917 senza dialoghi... Touchè!
Per molti solo un esercizio di stile senz'anima. Ma che anima può avere una rincorsa contro il Tempo, contro gli orrori, contro sè stessi?
Il film di Mendes non è un capolavoro quanto non lo era "Dunkirk" di Nolan ma un atto d'amore per questa immensa arte che nonostante l'imbarbarimento culturale rimane a galla combattendo una sua piccola guerra tra blockbuster, film intimisti, piattaforme streaming e frammentazioni online.
Giovani strappati dalle loro famiglie, dalle loro terre, che devono pensare di tornare esclusivamente dai propri cari, stringendo in mano, al cuore una fotografia sbiadita di chi impotente li attende con ansia a casa.
In una realtà talmente diversa dalla nostra odierna che non si riesce neppure a capire di striscio; come le innumerevoli pallottole che rincorrono i protagonisti in una guerra che ha fatto più morti per baionetta che altro. Pensate ad uccidere un vostro simile seppur nemico con un fucile dotato in appendice di uno spadino...
Fango, trincee formicolanti o abbandonante, topi, pantegane, cadaveri, cavalli putrefatti, distese sabbiose. La sola volontà in mezzo di rimanere vivi e combattere per tornare a casa. La grande guerra; la seconda guerra mondiale; il Vietnam; la Corea; e via così. Ma che sia Apocalypse Now o il soldato Ryan o 1917 l'obbiettivo è ritornare al focolare. Sempre esista ancora una casa fisica o mentale. Vedi alla voce "Cacciatore" o "Nato il 4 luglio"...
In sintesi il film di Mendes lungi dall'essere perfetto ha un obbiettivo che centra in pieno tra tecnica e racconto. Manca un pò di cuore ma non si può con forza rimproverarglielo perchè il tempo della narrazione e l'elaborazione dei fatti non avevano tempo. E sottolineo ancora una volta che il Tempo, come in "Dunkirk", ha il suo ruolo e soprattutto il suo contesto.
Tra le splendide immagini scelgo la risalita faticosa dal fiume calpestando cadaveri gonfi e irriconoscibili per assistere esausto ad una sinfonia di gruppo decantata da una voce soave, delicata, aliena. La poesia che squarcia l'orrore, che rappacifica, che riconsegna umanità. Nel rapimento mistico e sensuale del momento splende vivace l'inno ad una vita possibile, sognata, sperata.
La grande guerra.
Già ora bistrattata. Lode a Mendes per averci provato. Per averci portato in trincea.
Lode al mio nonno conosciuto da piccolino e di cui memoria non possiedo più.
Oggigiorno altre sono le nostre guerre quotidiane, piccole e grandi che siano, così lontane, così devianti.
Non c'è bisogno di un' enfasi della guerra ma bisogna ricordare, trasmettere ciò che è stato per non dimenticare a noi stessi cosa siamo diventati. Piaccia o no dal nostro passato si proietta il nostro futuro


Su quella collina alla fine del film ci sediamo tutti intorno per sperare che il ritorno a casa sia un atto di speranza, di fede, più che un addio, un arrivederci.
Ed una medaglia scambiata per una bottiglia di vino può figurare un atto sciocco ma quanta verità c'è in un sorso di quel nettare, in quel momento, forse l'ultimo.
Altresì quanta strana malinconia mi passa in testa ricordandomi la medaglia al valore del mio nonno sopravvissuto sul fronte del Piave.
La Grande Guerra.
La nostra grande guerra nel tentativo disperato di tenere vivo il ricordo, lo spirito di sacrificio, la volontà di una generazione di uomini oramai così lontana, così fuori fuoco, così abbandonata da indurci a riflettere di fronte un'opera di finzione del genere che sembra un videogame, una rappresentazione distorta di quell'epoca, una congegnata immagine del mito.
Nella sua generosità, nella sua pretenziosità, nel suo racconto fluido anche se leggermente sovraccarico, questo film mantiene viva un'idea che oggi sembra superata, vetusta, estranea.
Il grande spettacolo del cinema sul grande schermo diretto da un abile regista britannico con capitali statunitensi.
Da un compromesso politico e finanziario il meglio che si poteva ambire.
Il Piave mormorò...

Testo de “Il Piave mormorava”


Prima strofa:
Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio
Dei primi fanti il ventiquattro maggio:
l’Esercito marciava per raggiunger la frontiera,
per far contro il nemico una barriera.
Muti passaron quella notte i fanti;
tacere bisognava e andare avanti.
S’udiva intanto dalle amate sponde
Sommesso e lieve il tripudiar de l’onde:
era un passaggio dolce e lusinghiero.
Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero”.

Seconda strofa:
Ma in una notte triste si parlò di tradimento**,
e il Piave udiva l’ira e lo sgomento.
Ahi, quanta gente ha visto venir giù, lasciare il tetto,
per l’onta consumata a Caporetto!
Profughi ovunque! Dai lontani monti
Venivan a gremir tutti i suoi ponti.
S’udiva allor dalle violate sponde
Sommesso e triste il mormorio de l’onde:
come un singhiozzo in quell’affanno nero.
Il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero”.ù

Terza strofa:
E ritornò il nemico, per l’orgoglio e per la fame
Volea sfogar tutte le sue brame.
Vedeva il piano aprico di lassù: voleva ancora
Sfamarsi e tripudiare come allor…
“No” disse il Piave, “No” dissero i fanti,
“mai più il nemico faccia un passo avanti”.
Si vide il Piave rigonfiar le sponde!
E come i fanti combattevan le onde.
Rosso del sangue del nemico altero,
Il Piave comandò: “Indietro va’ straniero!”.

Quarta strofa:
E indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento
E la Vittoria sciolse le ali al vento.
Fu sacro il patto antico: tra le schiere furon visti
Risorgere Oberdan, Sauro e Battisti.
Infranse alfin l’italico valore
Le forche e l’armi dell’impiccatore.
Sicure l’Alpi… libere le sponde
E tacque il Piave: si placaron l’onde.
Sul patrio suol, vinti i torvi imperi,
la pace non trovò nè oppressi, nè stranieri