mercoledì 29 agosto 2018

MISSION IMPOSSIBLE FALLOUT

Tom Cruise è Mission Impossible.
Possiamo girarci intorno, lodare o criticare la serie ma sappiamo tutti più o meno chi è il deux ex machina dal 1996 in avanti; anno del primo capitolo diretto nientedimenoche dal grande Brian De Palma.
Per la storia della saga rimandiamo a wikipedia o ai vari mymovies, a noi la base comune nonchè chi ha realmente voluto, cavalcato, incarnato l'action contemporaneo e forse moderno finora.
Un uomo che dal sorriso castorino da 36 denti in "Top Gun", passando a Kubrick in coppia con la moglie Kidman, abbraccia da vent'anni almeno blockbuster che prima di essere materia sono simulacri di sè medesimo. Un corpo attoriale che nonostante il tempo si fà carico del peso della pellicola traghettandola sempre in mari conosciuti, calmi, ricchi. Un attore dalla mimica minima che fa recitare i muscoli, non facciali, che rincorre, corre, salta, travolge, sopravvive nei suoi film come nella sua vita artistica; portando sempre a casa la pagnotta. Un divo.


Quindi? Quindi questo nuovo capitolo rassicura i fan, rincara la dose ma soprattutto trova un equilibrio appagante tra la spy story, il romanticismo, il divertimento e Cruise stesso. Merito di McQuarrie regista solido ma sceneggiatore ancora più interessante e misurato. Abbandona la commedia spinta ridimensionando l'esuberanza di Simon Pegg, addolcisce il personaggio principale di Ethan Hunt, rende omaggio alle figure femminili senza raccontarle in modo banale. Per un blockbuster di questo livello niente male. Si avvicina ai capitoli di Bond/Craig accarezzando la loro eleganza formale senza dimenticarsi mai l'origine operaia dell'intera saga. 007 è solo mentre Hunt si avvale di un nucleo oserei dire famigliare. Questo fa tifare per le missioni impossibili di Cruise, godendo sommessamente per quelle un pò onanistiche di Craig. Interessante coglierne però le similutudini, le assonanze.
Come nei film precedenti la bulimia prende il sopravvento in un tripudio di situazioni, parole, colpi di scena, acrobazie, spiegazioni. Ma qui succede con un equilibrio che rende giustizia sia al personaggio sia al suo background sia al pubblico godereccio; un gioco di ribaltamenti che chiede l'attenzione dello spettatore sapendo maliziosamente di pagar pegno in una sospensione dell'incredulità sorprendente, spinta ma alla fine compiacente.

L'asticella si è alzata; Cruise può solo cadere (Fall...) ma per ora con volontà e costanza le prende, le dà, fugge, le riprende, per poi tentare nuove acrobazie omaggiando le vecchie. Un funambolo che resiste e s'immola; un cinema puramente d'intrattenimento che nello schermo cinematografico trova la sua massima espressione, tra decine di location, panorami mozzafiato, inseguimenti infiniti, combattimenti coreografati. Il vero blockbuster americano senza paura, senza fronzoli e senza ma. King Tom si mette le sue scarpette con tacco come il nostro Berlusca sfidando ogni corrotto possibile senza paura, senza tentennamenti, senza mimica. Uno straordinario viaggio di due ore e mezzo che stordisce, incanta, contorce, ammutolisce. Come nelle migliori serie tv odierne un ritmo che non fa prigionieri lasciando spazio ad un intricato puzzle dove Hunt/Cruise si aggrappa con tutte le sue forze, non avendo paura del tempo che passa e con lui un tipo di cinema anacronisticoche regge, rincuorando il suo pubblico, mitizzando la figura dell'eroe senza macchia. Il team prima di tutto e tutti. L'amore sacrificato per salvare l'umanità.
Visto in uno stratosferico 3D fa il suo dovere di perfetto meccanismo d'intrattenimento hollywoodiano.
Cruise continua baciato dall'eterna gioventù dell'anima; proprio lui che aveva esordito con "Fuori i vecchi... I figli ballano".
Poco importa. Importa immergerci in un mondo altro per due ore e dimenticare tutto. Tornare al nostro reale più sollevati o semplicemente più leggeri.
Perdetevi nello schermo, fatevi questo regalo. Riemersi, poco o nulla ricorderete tra nomi e situazioni ma rimarrà in voi un senso di estasi, un' esperienza sensoriale, a tratti frastornante. Il potere del cinema al cinema. Ritornare bimbi. Con i buoni che vincono. Sempre.
Questa recensioni si autodistruggerà tra cinque secondi...5...4...3...2...1

giovedì 23 agosto 2018

CIVILTA' PERDUTA

Viviamo in anni bui dove pochi squarci di cinema puro riescono ad illuminare il cielo fitto di nubi.
Tra blockbuster inutili, vuoti, empi e serie tv sempre più roboanti, consumistiche e abbaglianti ogni tanto il paziente tintinnio della speranza bacia i nostri occhi stanchi e spenti.
Ci pensa James Gray a darci una boccata d'ossigeno con un'opera anacronistica, fuori dal Tempo o meglio lontano da questo tempo, così fecondo ma nello stesso tempo così poco interessante. Il regista sa il fatto suo dimostrandolo in passato con ottimi film tra cui lo splendido "Two lovers" con il suo attore feticcio di allora, l'immenso Joaquin Phoenix.
Qui il racconto di un'ossessione si fa Mito tra tempi dilatati e riprese ipnotiche.
Tutto nel rimando costante ad un classicismo che non si usa più, che anzi fa paura perchè così vetusto rispetto al ritmo frenetico dell'immagine contemporanea, bulimica, a volte disturbante. Aria fresca che meritava essere vista sul grande schermo ma che conserva forza e onestà nella visione casalinga. Chiaramente il rimando al romanzo di riferimento e ai fatti realmente accaduti come sempre avvalorano la narrazione abbandonandosi ad un'esplorazione fisica e ancor più dell'anima.
Una pellicola preziosa per la sua fede nel cinema classico e immaginifico che riappacifica con il ritmo lento dello sguardo più autentico, riflettendo nello stesso tempo sul racconto e sulla ricerca febbrile di un'alternativa al conosciuto.
Ogni passo nella giungla è una promessa.
Ogni segno sul cammino una speranza.
Ogni imprevisto una sfida.
Questo è un film da assaporare, godere e centellinare come acqua fresca, limpida in un deserto di opere gridate, povere e superflue.
Per questo visto da pochi, pochissimi; un progetto in partenza kamikaze.
Ma la poesia vera è maneggiata da pochi incoscienti, soprattutto al cinema; soprattutto nel cinema indipendente americano.
Lunga vita a Gray, al suo lavoro, alla sua potenza visiva, alla sua abilità narrativa.
Lunga vita a noi spettatori che crediamo ancora in un cinema che sogna con ambizione prendendosi il tempo che deve e fregandosene della velocità esasperata del quotidiano.
Come un romanzo romantico, come Conrad ed il suo cuore buio, come Coppola e la sua apocalisse, così Gray pone il suo sigillo alla ricerca di una civiltà distrutta dai barbari e rinnegata.
Siamo sicuri che loro erano i barbari e noi i moderni?
Gli spettatori di oggi cosa sono? I nativi digitali che guardano film a consumo sui tablet?
La civiltà perduta che rimpiango è quella della mia adolescenza dove andare al cinema era un rito, dove parlarne con gli amici era un'occasione di scambio, dove la velocità era un lusso. Ora tutto è troppo, tutto è subito, tutto ci asfissia senza possibilità di ragione critica, senza molte volte la voglia di trasmettere la sensazione di una cosa bella agli altri.
Si stava meglio quando si stava peggio.
Cuore di tenebra nei nostri occhi così stanchi, così chiusi, così arrendevoli.
Voglio lontananze d'azzurro cantava Battiato...
Poesia senza fine.
Giungla d'asfalto.
Aspettando i barbari.
Perduto amor.
Mr. Gray...

 https://www.youtube.com/watch?v=4MXtEAAwC2A