Qui di seguito per la prima volta pubblico una recensione scritta non da me, impossibilitato fisicamente a vedere questo film, ma da un caro amico che oltre ad essere un valido critico conosce minuziosamente l'argomentazione trattata. Lo ringrazio di cuore per aver accettato il mio invito, sperando la sua opiniome sia utile a chi segue il blog o semplicemente vuole essere stimolato ad una particolare visione.
"Re della terra selvaggia è un viaggio. Un allucinante viaggio fra gli
ultimi. In un delta fangoso, sporco ed inquinato vive un gruppo di
derelitti emarginati in un degrado squallido ed indecoroso. In
condizioni igieniche del tutto assenti, in un orizzonte di impoverimento
materiale e culturale, in cui un sollievo è portato dal solo abuso
d’alcol, l’esistenza del gruppo è garantita dalla sola forza di rimanere
attaccati alla nuda vita che la loro presenza al mondo ancora sembra
testimoniare. Sono corpi che, come bestie, si nutrono di altri corpi,
crostacei, pesci (che sanno pescare direttamente con le mani), polli e
porci coi quali condividono il medesimo destino. Vivono dei rifiuti di
una città che si intravede all’orizzonte e li ignora sino a quando non
li percepisce come un pericolo. Solo allora si muove la macchina civile,
sorvolando la zona con elicotteri e procedendo a sgomberi forzati. Ma
l’emarginazione di quel gruppo di umani non è il risultato di
un’incapacità di conformarsi ad uno stile di vita dominante, ma il
prodotto di una vera e propria esclusione sociale, una violenza strutturale incivile. E’ solo quando
uno dei protagonisti del film subisce un ricovero forzato in ospedale
che prende forma un significato profondo della narrazione. Sedato,
intubato e spogliato di ogni diritto se non quello di esistere come puro
organismo vivente rifiuta ogni tipo di cura, litiga con il personale
sanitario ed organizza una fuga per tornare nell’ambiente malsano della
palude con i suoi simili. Un’immagine più nitida dell’ospedale come
dispositivo di disciplinamento corporeo foucaultiano non poteva essere
resa. In quell’ospedale si bada alla sola cura organica senza prendere
nella minima considerazione il mondo della vita del paziente e i
significati della sua esistenza. Ecco perché diviene preferibile fuggire
dalla civiltà e rifugiarsi nella più estrema e miserabile condizione
che diviene addirittura preferibile giacché è ancora in grado,
nonostante tutto, di produrre narrazioni e di garantire senso umano
all’esistenza inventando miti (come quello che lega la loro condizione
allo scioglimento dei ghiacci da cui prendono forma temibili animali che
un giorno se li porteranno via) producendo significati nuovi e momenti di festa surreali. C’è molta più dignità e compassione nel gesto di cura
di una bambina che cura suo padre inutilmente che non nella tecnica
ospedaliera che offende la sua persona per tentare di rimuovere la causa
organica della malattia dimenticandosi che essa ha chiaramente origine
nei meccanismi che producono la disuguaglianza sociale. C’è molta più
vita umana nel saluto e nella commemorazione compassionevole del defunto
su una pira improvvisata che non nel tentativo biomedico di salvare una
vita che non è mai stata compresa. Un film da proiettare in ogni
scuola, ma soprattutto, prima di ogni lezione alla facoltà di medicina."
FABIO PETTIRINO
grazie per la recensione, cercherò di non perdermelo!
RispondiEliminaEppure... Eppure sappi quanta gente è uscita dalla sala dicendo:"Che schifo!" .
RispondiEliminaE non parlo di pubblico popcorndipendente ma di cinefili...
Il messaggio trasmesso dal film è contraddittorio.
RispondiEliminaPur volendo trasmettere principi estremamente positivi quali il rispetto dell'equilibrio naturale e del giusto rispetto per ogni individuo comunque egli decida di vivere, il tramite per far questo sono dei personaggi che, senza eccezioni, sono outsider, emarginati, etilisti. E non serve neppure che la portavoce di una simile umanità sia una bambina dal viso angelico, il messaggio risulta ambiguo e quindi difficilmente comprensibile.
La mente umana funziona così, secondo stereotipi preformati, non se ne può far nulla malgrado le critiche entusiastiche di un certo tipo di critica.
Si esce perciò dal cinema con una sensazione di disagio che va dal non comprendere una società troppo diversa dalla nostra al vero e proprio disgusto.
Ma a me è piaciuto. :-)