giovedì 15 dicembre 2016

ROGUE ONE...la nuova speranza!

"La FORZA è con me e sono tutt'uno con la FORZA..."


Questo è il mantra che ad un certo punto della pellicola scocca la freccia diretta al cuore. Dopo la delusione del primo capitolo della trilogia ( http://diafanoide.blogspot.it/2015/12/star-wars-il-risveglio-della-forza.html ) ecco la sorpresa che non ti aspetti; il vero risveglio della Forza o come sottolineato sin dal titolo la nuova speranza che strizza l'occhio al capostipite di Star Wars piuttosto che la sensazione che la saga abbia trovato nuova linfa.
Come ben sapete questo film è ambientato nel mondo di Guerre Stellari ma slegato dalla nuova trilogia. Premessa importante per sottolineare positivamente la libertà narrativa che fortunatamente ha segnato il progetto, senza ledere lo spirito di Lucas e soci ma rimanendo fedeli al testo con citazioni deliziose e ambientazioni gustose. Dalla trilogia classica finalmente il degno erede che riscrive l'epopea con un dosaggio equilibrato tra avventura, fantascienza e mito.
Merito di una regia attenta, di un ritmo frenetico e di una sceneggiatura di ferro che sa omaggiare il vintage senza dimenticarsi di riammodernare l'intreccio. Dall'incipit vivace all'ultima scena rivelatrice il tutto fila liscio senza intoppi o lungaggini; qualche dialogo poco memorabile o situazione di collante non fanno perdere smalto ad un meccanismo che riplasma ancora una volta il mito senza tempo di un cinema che ha segnato decenni della nostra vita. La FORZA accarezza in modi differenti i personaggi e le situazioni di ricamo ma presenzia in occasioni minori ma profonde tutta l'intera trama. Quanto erano monodimensionali e fiacchi i personaggi del rifacimento dello scorso anno, quanto sono interessanti e magnetici quelli incontrati in questo racconto di sacrificio e di passaggio. Il ruolo femminile di Jyn vale una carriera e rappresenta  ancora una volta la trasfigurazione femminile di una Ribellione potente, fattibile, metaforica. L'attrice che la impersona è il vero motore trainante della storia grazie ad una bellezza selvaggia, ad un carisma primitivo che vive negli occhi perennemente espressivi; un fuoco che doma e domina ogni fotogramma non digitale della prima opera spin-off di Star Wars.
Lo stile asciutto e veloce con montaggio stile serial tv moderno è garantito  dalla stilosa penna di Tony Gilroy, adattatore magistrale della trilogia di Bourne.
La visionarietà è appagata da più mondi presentati e dalla barocca scena finale dove l'abbondanza dei dettagli pone le basi per una seconda visione.
Non sarà una pietra miliare del genere ma Rogue One si candida ad essere uno dei blockbuster più riusciti degli ultimi anni per la libertà con cui si destreggia dentro un mondo rigido,  per il pieno equilibro tra forma e sostanza, per la consapevolezza di tracciare una nuova speranza in uno schema incancrenito da regole imperiali vetuste. Il coraggio di una ribellione dosata ma osata e pensata a tavolino. Finiti i tempi del sogno spielberghiano, passati quelli di un Lucas infantile, scottati dal remake ingessato del scorso Natale, eccoci felici di assistere in una sala cinamatografica ad un'avventura che riempe gli occhi non obbligandoci a litanie noiose nè a omaggi scontati. Qui i ribelli picchiano duro e ci conquistano da subito senza giochini da prestigiatori; qui il gioco si fa duro e i duri non hanno paura di perdere.
C'è una nuova speranza nella saga e viene dalle retrovie. Mi piace pensare che abbiano aperto le finestre nei piani alti per far entrare aria nuova. Il cinema sì come piace alle masse senza essere marcatamente banale o stereotipato. Che la FORZA possa ancora accompagnare visioni future degne del mondo creato dall'unica, sola, vera prima trilogia.


Tanto tempo fa in una galassia lontana, lontana...


giovedì 18 febbraio 2016

THE HATEFUL EIGHT

Dicono sia un Tarantino minore. Dicono abbia sbagliato un colpo. Dicono sia pesante. Dicono sia lungo, noioso. Dicono sia violento senza un significato. Dicono sia un megalomane ad aver girato in 70 mm. Dicono...
Io dico che Quentin Tarantino è pura aria fresca. Io dico che questo regista come forse nessun altro negli ultimi decenni ha il potere di fare ciò che vuole, infischiandosene di fan e detrattori. Io dico che è follia non vedere quest'opera riconosciuta almeno con una nomination alla regia alla prossima notte degli Oscar. Pochi si ricordano che dopo Pulp Fiction fece per molti un passo indietro con Jackie Brown, senza capire che il passo era laterale, o meglio, trasversale. Da un punto di vista di scrittura lo sceneggiatore Tarantino decide di volta in volta di divertire iconicamente o di riflettere ironicamente. Come per la pellicola del 1997 qui torna ad un testo fitto come al solito, meno tagliente all'apparenza ma potente nei sottotesti. E lo fa continuando sorprendentemente ad affinare la sua maestria registica. Contiene i movimenti di macchina racchiudendo quasi l'intero film in medi, primi piani di strabiliante resa nella sfida vinta del formato glorioso del 70 mm in pellicola. Una sfida all'apparenza sgangherata o vezzosa ma vinta in pieno per la resa immaginifica che restituisce all'occhio rapito dello spettatore. La splendida arena di Melzo con una pellicola al dir poco perfetta ed un sonoro pulito ed eccezionalmente equilibrato rende giustizia alla fruizione in sala voluta dallo stesso Tarantino. Operazione malinconia da un lato, ma ennesima dimostrazione di come questo autore ami il grande schermo e sia in grado di reinventare copiando ed omaggiando un genere, un'era, un gusto che in altri schermi più piccoli si va a ridimensionare in tutti i sensi. Sia lode anche per questo a un sognatore mai domo.
Il gusto della narrazione è centrale e i personaggi caratterizzati da dialoghi capaci di intrattenere senza stancare; per assaporare meglio la storia sarebbe meglio prima o dopo una piccola ricerca sulla guerra nordisti e sudisti ove è contestualizzata. La politica da Bastardi senza gloria in poi è diventata parte del cinema di Tarantino; a suo modo certo.
Interpreti a loro agio che impreziosiscono il gioco teatrale messo in moto in una stanza dal burattinaio sanguinolento. Come sempre tutto funziona nel cinema assoluto del regista di Le iene
e nulla è lasciato al caso.
Rispetto a Django qui gira un western classico omaggiando la sua amata serie B, rinunciando come si è detto a certi vezzi ma rimarcando il suo tocco soprattutto nei momenti pulp o gore. Una firma che concede ai fan di vecchia data, non gratuita a parer mio in questo cammino di maturità sempre più convincente. Al di là del maestro Morricone per il genere affrontato meno musica esibita ma come sempre scelte originali ed azzeccate.
Dicevano fosse un Tarantino minore. Dicevano che avesse sbagliato un colpo.
Dicevano fosse pesante...Dicevano.
Io dico che come capita spesso solo il Tempo dirà se questa ottava pellicola sia degna di attenzione o meno. Io credo che al di là della storia e dell'importanza sia politica sia di genere questo film sia un ennesimo omaggio ad una gloriosa pagina di cinema e nello stesso tempo una gioia per chi ama la settima arte nonostante le atrocità propinate negli ultimi anni.
Quentin Tarantino potrà anche, forse, sparare un colpo a vuoto; ucciderà qualche fan, forse qualche critico. Qui ha fatto centro ancora una volta. E con uno stile cinematografico che non ha bisogno della lettera di Lincoln per deviare il fuoco. Qui non si fanno prigionieri. Qui si ferma la carovana. Qui il Mito continua aggiornando il suo meridiano di sangue.