mercoledì 16 dicembre 2015

Star Wars Il risveglio della forza?

Tanto tempo fa, in una galassia lontana lontana...

Lucas decise saggiamente di lasciare la propria creatura in mano ad altri invece che continuare a massacrarla con dedizione e cura spasmodica. Levata di scudi quando la Disney acquistò i diritti e mise il progetto in mano al nuovo re mida di Hollywood J.J.Abrahms, già rimodellatore con straordinari risultati del ciclo di Star Trek. Ma se con la serie tv di Roddenberry la sfida comportava fan incalliti ed appassionati di fantascienza in generale, qui l'asticella si alzava vertiginosamente andando a scalfire il Mito della celluloide per eccellenza. Tutto richiamava ad un'operazione sì commerciale ma garante di una continuità e di un recupero filologico della trilogia classica attraverso il cast di allora, sia attoriale che tecnico; avvalorato da un nuovo inizio, un ammodernamento degli effetti speciali ed una sceneggiatura capace di ridare linfa a personaggi completamente annichiliti dalla seconda impotente trilogia della saga. Con tanto di lancio planetario asfissiante tra patnership e stampa, ma con un trailer veramente riuscito per phatos, montaggio e mistero. Diventa interessante rivederlo subito dopo la visione del film stesso; dopo aver lasciato decantare due ore piene di un ritmo forsennato che premia generosamente il target del pubblico medio delle sale odierne. Quanto il primo era armonioso, suadente ed autoriale, tanto il secondo è ridondante, superficiale e terribilmente anonimo.
Dopo la trilogia classica dell'età adulta, segue quella infantile di fine anni 90, per arrivare all'odierna adolescienziale, perfetto blockbuster 2.0; ritmo senza pause in un 3D spettacolare dove i personaggi rimangono monodimensionali attraverso dialoghi asciutti e superficiali; messi in bocca al vecchio cast riescono a sbiadire figure colossali come Solo e Leila, nei personaggi nuovi non fanno altro che scadere nel citazionismo sfrenato, quasi mai nella ricerca di una propria dimensione. Questo Star Wars è lo specchio del cinema americano di oggi: intrattenimento al grado zero senza anima. Algido e nello stesso tempo rassicurante grazie al contributo Disney. In questo è bene sottolineare quanto sia paradossale che siano invece le pellicole di animazione, vedi Pixar, a ricercare la profondità di temi e personaggi. Una splendida occasione mancata per mio conto. Il cuore del problema oltre ad una sceneggiatura ricca ma non stratificata è la quasi totale assenza del Male nella sua forma più avvincente ( Dart Vader con solo il suo casco o il respiro) o in quella più banale e subdola( Palpatine e/o Maul). Qui con una forzatura nella storia ci presentano un molle rampollo dalla lunga chioma, carismatico come un Jovanotti qualunque. In un film che tiene comunque bene sul lato spettacolare anche senza scene madri indimenticabili, ci sono almeno due scivoloni degne del peggior Lucas. La
seconda purtroppo chiude l'opera prima dei titoli di coda.
Dov'è finito il Mito? La filosofia semplice ma profonda della Forza? La caratterizzazione potente dei personaggi della saga? Il piatto ricco purtroppo piange lacrime amare. Ma il grado zero dell'intrattenimento ha un prezzo molto alto da pagare. Non a caso negli ultimi anni i migliori prodotti di genere sono stati partoriti da registi non americani, uno per tutti "Gravity" di Cuaron. O ti chiami Nolan ( pessimo il suo Interstellar ma autoriale e scevro da logiche commerciali ferree) o Cameron che fa un polpettone poco originale come Avatar ma fotte tutti sul piano qualitativo visivo. Qui ci si riempie gli occhi di un nulla pericoloso e ripeto anonimo. Nelle sontuose scenografie peccano anche i combattimenti, soprattutto quelli corpo a corpo, come se la lezione orientale importata da Matrix in poi sia annullata in un misero balletto tra avversari da playstation virtuale. Troppe cose non funzionano e troppe poche rimangono negli occhi e nella memoria. Poco o nulla nel cuore.
Scrivere queste parole mi sconsola e le continue ferite del cinema avaro di questi ultimi anni mi rende sempre più feroce ed assetato, più malinconico e irascibile. Mi impaurisce il meccanismo celato dietro a queste macchine da guerra inarrestabili che macinano soldi e presenze appiattendo l'immaginario personale, o meglio livellandolo. Ma senza questi incrociatori interstellari il cinema oggi sarebbe morto, le sale deserte, la possibilità di una nuova speranza preclusa. Nel 1977 Lucas presentò una visione indipendente allora, figlia della sua epoca contestata ma viva, che liberò energie attraverso la rielaborazione del Mito incarnato in personaggi indimenticabili per spessore e potenza. Il nostro tempo sforna un'opera che riscrive quella storia nel peggior modo possibile; non guarda al futuro, ma ci inchioda vergognosamente al nostro presente più superficiale, incapace di rielaborare una memoria che scompare senza lasciar spazio all'approfondimento. Tutto scorre.

"Trovo insopportabile la tua mancanza di Fede"
                                                                                Darth Vader



martedì 17 novembre 2015

Roger Waters The Wall


Nelle cuffie gira "The wall" con tutta la sua forza immaginifica e psicotica. Non posso dire di essere un fan sfegatato dei Pink Floyd ma non si può essere indifferenti ad una delle band più significative del secolo scorso. Mi accingo quindi a vedere questo concerto documentario aspettandomi un grande show e poco più. Ma ecco che piacente o meno vengo colpito dalla presenza magnetica di Waters, dalle inquadrature glamour ma significative del suo viaggio verso Anzio alla ricerca del padre perduto, dalla potenza scenografica del concerto a Parigi. Un oggetto non identificato che ripropone il fascino di un album che invecchia con stile in una geometrica performance di rara ispirazione. Non solo per i fan del gruppo, ma per gli amanti della musica in generale o forse per chi cerca un altro modo di ascolto, uno spettacolo per gli occhi. Waters incide con il carisma, si avvale di professionisti di livello, abbaglia con effetti da capogiro utilizzando in perfetta simbiosi concretezza materiale e digitalizzazione delle emozioni. Il gioco esalta la visione cinematografica tra barocchismi visivi e pienezza audiofila di sconvolgente nitidezza; una battaglia tra metafore semplici ma vivide che esaltano un lp che ha cambiato la storia della musica contemporanea. Nei volti dei partecipanti al concerto lacrime, sorrisi, urli diventano smorfie di semplici individui davanti al Potere direttivo; eppure in quei visi si rispecchia l'umana emozione salvifica di fronte all'orrore, all'omologazione, al conformismo che abbraccia oggi la globalizzazione più sfrenata. Waters non vuole essere un novello Terzani anche se a tratti gioca con il fuoco, ma riesce a dare un senso al documentario sposandolo con la sua perdita prematura, ricordandoci che di fronte al muro  che ci sovrasta la memoria storica può salvarci o per lo meno aiutarci.
In un momento emotivo come questo conseguente alla carneficina di Parigi, Waters attraverso ad un muro personale che si sfalda abbatte un concetto, un ostacolo a misura d'uomo che richiama la possibilità di una speranza, al di là di credi o appartenenze. Il tutto non dimenticando l'affabulazione di uno show in stile americano, con regole ferree, studiate che forse lascia qualcosa all'emozione vera della musica nuda ma che si abbandona ad un esempio unico di ricchezza visiva. Per la testualità ed i rimandi poetici ci rimane l'ascolto in cuffia. Ma per un'esperienza fuori dall'ordinario il cinema regala a quest'opera una dimensione elegiaca di intensità monumentale; come l'assolo di chitarra elettrica che abbatte il muro interiore del protagonista Pink. Un momento emozionante che squarcia l'anima, più delle lacrime di Waters vere, ma un pò troppo calcolate in un loop che si chiude come si apre in tono circolare.


Child: "Look, Mummy. There's an aeroplane up in the sky."
Did you see the frightened ones
Did you hear the falling bombs
Did you ever wonder
Why we had to run for shelter
When the promise of a brave new world
Unfurled beneath a clean blue sky

Did you see the frightened ones
Did you bear the falling bombs
The flames are all long gone
But the pain lingers on
Goodbye blue sky
Goodbye blue sky
Goodbye

martedì 17 febbraio 2015

SHAUN - Vita da pecora

Schiacciata tra 50 Sfumature e Sanremo ecco il gioiellino che ci ricorda che c'è sempre speranza. Per alcuni solo animazione per bimbi, per il sottoscritto aria fresca, frizzante, folata sana capace di scardinare le finestre più serrate. Ciò che rende capolavoro la scena di "UP" della Pixar in minuti di muta emozione, qui diventa materiale per farne una pellicola intera. Certo l'apice non può competere con il riassunto di una storia d'amore di una vita o con il mimo burtonesco o forse alla Tati di Wall-e; ma se non si grida, si applaude per la forza della fantasia, dell'inventiva che rende una pellicola così piccola così grande ed unica. La Aardman è una filosofia di qualità e di intrattenimento da "Wallace & Gromit" in poi. In più, rispetto ai concorrenti spietati del mercato animato, ha l' artigianalità dalla sua parte; basti pensare al fascino di vedere con gli occhi movimenti creati da personaggi pazientemente plasmati in plastilina, poi mossi in stop-motion. Straordinario l'effetto, straordinario il lavoro. Oltre a riempire gli occhi, riempe il cuore. Lontani anni luce gli animali spigolosi della Dreamworks, altra cosa la Pixar prima maniera. Qui si respira aria di classicità senza malinconia; si tocca il presente, si spera in un futuro roseo. Una pecorella graziosa accompagnata da un cane fedele e da una cagnetta brutarella ma coraggiosa conquistano il cuore dello spettatore, senza mai cedere alla tentazione di addocchiare alle mode, alle citazioni, ai tormentoni che tanto avviliscono la cultura quotidiana. Sia lode a Shaun e al suo puro intrattenimento intelligente per tutte le età. In mezzo a tutti questi segnali di decadenza prodotti del genere vanno cantati, consigliati e coccolati. Siamo su una nave che sta affondando tra erotismo da quattro soldi e commedie senili, fiction edulcorate, festival di pseudocantanti. Siate vigili, nutritevi di stimoli e di ciò che li genera; come Shaun combattete in prima linea per preservare il vostro territorio, le vostre opinioni, le persone che vi amano, senza paure, senza servilismo. Abbasso i pinguini idioti, viva le pecore capaci di ribellarsi.
Meglio cento giorni da pecora!