"Alla fine della vita resterà solo l'ironia".
Una frase lapidaria, trasparente, intellettuale quanto istintiva.
Sorrentino usa il suo genio ancora una volta per dimostrarci quanto le immagini possano sposarsi con la narrazione in un matrimonio fecondo che genera riflessioni e malinconie.
I detrattori parleranno nuovamente di formalismo e masturbazioni filosofiche,
I fanatici di fantastiche invettive e visioni catartiche.
L' essenza dell'opera omnia del regista napoletano finora è la drammaturgia.
Qui chirurgicamente ci ricorda l'innocenza dei primi amori intensi e unici di fronte alla miseria che ci attende negli anni avvenire. Lo fa come sempre con trabochetti intellettuali e con liturgie enfatizzate. Ma gli riesce sempre con maestria indiscutibile.
Lascio ad altri le osservazioni su Napoli e dintorni, il riferimento del titolo vale il percorso già di per sè, rimanendo estasiato ancora una volta per il talento sprigionato da questo pensatore così cristallino prestato al mezzo cinematografico.
Acqua azzura, acqua chiara. Un Mogol partenopeo.
Per arrivare al coinvolgimento e alla farsa come sempre sceglie accuratamente il cast che in primis si affida ad una nuova, giovane, attrice magnetica. Ma la spada ed il fioretto sono in mano ai personaggi interpretati da Lanzetta e da Orlando.
La grande bellezza continua con meno boria ma più malinconia e dolore. Un dolore mascherato ed allontanato che continuamente si riaffaccia in una lunga, tortuosa malinconia presente negli occhi della straordinaria protagonista.
Il più grande regista vivente, un intellettuale, ha raccontato la politica con Andreotti ed il Cavaliere e il buon, cattivo costume con il suo film premio Oscar, continua il suo percorso con uno stile unico, inconfondibile. Uno stile che divide come capita ai grandi. L'importante è che continui a parlarsene.
Parthenope. "La bellezza è come una guerra, spalanca le porte".